giovedì 31 luglio 2008

Il governo della maggioranza

Wikipedia, versione italiana, alla voce "partito politico" definisce: "Un partito politico è un'associazione tra persone accomunate da una medesima finalità politica ovvero da una comune visione su questioni fondamentali dello gestione dello Stato e della società o anche solo su temi specifici e particolari".
È curioso notare che la versione in inglese, alla voce "political party" dica una cosa completamente diversa: "A political party is a political organization that seeks to attain and maintain political power within government, usually by participating in electoral campaigns" ("Un partito politico è una organizzazione politica che cerca di ottenere e mantenere potere politico in un governo, in genere prendendo parte ad una campagna elettorale").


Costituzione italiana
Mi sembra che entrambe le versioni siano corrette, anche se partono da due visioni diverse. Dalla versione italiana emerge l'esigenza del cittadino di partecipare al governo dello Stato tramite un meccanismo democratico come il voto. Dalla versione inglese invece si coglie di più l'aspetto del controllo del potere.

Dalle definizioni di Wikipedia si potrebbe desumere che il compito di un partito politico sia quello di difendere gli interessi di chi lo vota.
Secondo me non è così che dovrebbe funzionare: un partito, secondo me, è l'entità che si ripropone di governare.
E governare, in una democrazia (come dice la parola stessa: governo del popolo - di tutto il popolo, e non solo della maggioranza) significa fare gli interessi di tutti, anche di chi ha votato per qualcun altro.

Ci si potrebbe chiedere, quindi, a che cosa servano le elezioni per decidere tra un partito e l'altro, visto chiunque vinca, almeno in linea teorica, dovrà fare gli interessi di tutti.
La risposta è che non è affatto scontato decidere quali siano le azioni da intraprendere a livello legislativo/esecutivo per raggiungere quel fine di realizzare gli interessi di tutti. Ad esempio, uno degli interessi tipici di tutti i cittadini è aumentare la ricchezza dello Stato (e quindi, almeno in media, quella dei cittadini stessi). Capitalismo e Comunismo si ripropongono entrambi di raggiungere questo fine, ma in modi totalmente diversi.
Chi dà il proprio voto quindi non dovrebbe farlo per promuovere i propri interessi, potenzialmente contrapposti agli interessi di altri, ma per contribuire alla realizzazione degli interessi di tutta la comunità. Ad esempio, chi vota per un partito liberista lo fa perché pensa che il liberismo sia lo strumento giusto per realizzare l'interesse dell'intero Paese, e non il suo personale.

C'è poi la questione di definire l'insieme dei membri della comunità che hanno diritto al voto e quello di coloro che devono accettare le regole dettate da chi vince. Sorprendentemente i due insiemi non sono uguali.
Ad esempio è evidente che i minorenni sono soggetti alle leggi dello Stato anche se non hanno il diritto di voto. La discussione è anche aperta riguardo al diritto di voto degli immigranti non cittadini, ma è indubbio che le leggi condizionino anche i loro diritti/doveri.
La distinzione dei due insiemi è pericolosa, perché rivela che esiste un insieme di persone che decide che cosa un altro insieme di persone deve fare, mentre queste ultime persone non hanno alcuna possibilità di dire la propria dal punto di vista politico. Questo aspetto non è un problema per i minorenni, poiché in gran parte costituiscono la prole di coloro che hanno diritto di voto, i quali non accetterebbero mai uno Stato che non si preoccupa dei loro figli. Ma nel caso degli immigrati extracomunitari ad esempio la faccenda è diversa. Se i votanti votano per i loro interessi e non per l'interesse comune, gli immigranti saranno discriminati. Mi pare che sia proprio da questo errore che scaturisce l'idea di prendere le impronte digitali ai rom.
Per di più c'è anche il problema delle minoranze perdenti. Poiché le maggioranze sono coloro che governano, in una democrazia, un voto mirato alla realizzazione degli interessi personali dei votanti potrebbe discriminare non solo i non votanti, ma anche i nuclei minoritari degli elettori. Il nazismo si è preoccupato di realizzare gli interessi di coloro che l'hanno votato, anche se ciò includeva lo sterminio degli ebrei.
Ora, questo non potrebbe succedere se c'è una Costituzione che lo previene, ma ciò funziona ovviamente solo se anche il potere politico si sottomette alla Costituzione. Se invece il partito politico che vince può modificare la Costituzione c'è evidente contraddizione.

Il senso di questo post è che, per quanto tutto ciò mi sembri ovvio e scontato, oltre che necessario alla realizzazione della Democrazia, pare che ne' i rappresentanti della maggioranza ne' i loro elettori si accorgono che queste regole non sono per niente rispettate. E, peraltro, nemmeno dalla minoranza.

E a pagarne le conseguenze è l'interesse del Paese.

mercoledì 23 luglio 2008

Buongiorno!

Inizio di una nuova giornata lavorativa. Ancora non del tutto sveglio vado ad aprire la portafinestra del terrazzo/giardino per far uscire i cani per i loro bisognini e metto su il caffè. Torno in bagno e mi sveglio finalmente lavandomi la faccia con l'acqua fredda. Quando ritorno il caffè è pronto.

La mia colazione di stamattina
Qualcuno dei miei amici blogger sa che mi sono messo a dieta, ma la prima colazione, si sa, è il pasto più importante, e allora eccomi in cucina a preparare un sano piatto per iniziare bene la giornata.

Ecco la mia colazione di stamattina: una pesca, un kiwi, dei fiocchi di mais, un po' di yogurt, un caffè (mi piace nerissimo e senza zucchero) e qualche fetta biscottata. A volte aggiungo anche un bicchiere di succo di frutta, un po' di latte, una fetta di torta o un paio di biscotti.
Ovviamente il tipo di frutta dipende dalla disponibilità del frigo e dalla stagione: melone, prugne, albicocche sono varianti comuni. Sarà più difficile trovare qualche alternativa durante in inverno.

Considerato che fino a qualche tempo fa non riuscivo a mandar giù altro che il caffè, si tratta di un bel salto di qualità, vero?

E a voi cosa piace mangiare a colazione?

martedì 15 luglio 2008

Chagrin d'école

Chi l'avrebbe mai detto? Daniel Pennac, il professore, da ragazzo era un somaro.

Ma non un somaro genio, come Einstein, che andava male a scuola perché aveva qualcosa di più importante e creativo per la mente. Un somaro perché non riusciva a capire.
L'autoanalisi a posteriori di questa esperienza aiuta il professor Pennac a capire il metodo di insegnamento salva-somari. Che, in effetti, non sembra una gran rivelazione. Bisogna semplicemente immedesimarsi nel somaro e trovare uno stimolo per lui, visto che lui di stimoli, da solo, evidentemente non ne sa trovare.
Il problema è che meno uno capisce, più viene indotto a continuare a non capire, perché in realtà non viene aiutato dalla scuola a capire ma viene accusato di non impegnarsi, o addirittura di farlo apposta.

Daniel Pennac
Il ragazzo non lo fa di certo apposta (mica scemo!), anzi, cerca di trovare il modo di capire. Ma, se non viene guidato, il suo percorso sarà coronato da insuccessi tali da fargli credere di essere troppo stupido per capire. E questa presunta stupidità lo scoraggia al punto di rinunciare ad applicarsi, ché tanto non capirà mai.
Per il professore, lo stereotipo dello scolaro è il ragazzo intelligente, che capisce subito al volo, e che quindi con curiosità pone domande intelligenti. Quello che, entusiasta della lezione studia e sarà preparato alla lezione successica.
La funzione propria della scuola però, non dovrebbe essere applicata soltanto a quel ragazzo, ma soprattutto al somaro. Quello che non studia perché non ha nemmeno capito come si fa a studiare. In una scuola dove il professore si sente gratificato dal facile successo con lo scolaro intelligente, non c'è spazio per il somaro, il quale quindi si sentirà escluso. Proprio lui che invece avrebbe più bisogno della scuola!
Il processo di crescita intellettuale consiste (anche) nell'accettare le regole. Ma accettare passivamente le regole non significa affatto crescere! Di conseguenza un metodo educativo basato sull'imposizione delle regole regole e' destinato a fallire. E per questo, dice Pennac, serve una cosa che suona quasi come una bestemmia, in ambiente pedagogico: l'amore.

Nella mia carriera scolastica non ero un somaro. Non in tutto. Anzi, in alcune materie ero molto bravo. Direi che su di me si poteva addirittura applicare lo stereotipo di cui sopra: intelligente e critico. Però in altre materie non riuscivo, e le motivazioni erano esattamente quelle descritte da Pennac nel suo libro. Se avessi avuto qualche insegnante che mi indicasse la via per Storia e Letteratura avrei avuto la vita più semplice. Queste materie ora mi stimolano. Sono in grado di capirle! Solo che allora non lo sapevo di esserlo. E non lo sapevo perché nessuno me l'aveva mai detto.
Ricordo ora la prof di Italiano e Latino e quella di Inglese (ero molto bravo in lingua latina, e avevo una buona proprietà di linguaggio inglese, ma la letteratura, italiana, latina o inglese che fosse!!!!). Ricordo anche la prof di Storia e Filosofia. Che pena!
Quest'ultima, in particolare, era completamente negata nell'insegnamento (secondo i canoni di Pennac), ma il suo entusiasmo per le materie che insegnava si poteva quasi toccare in ogni sua lezione. Io non capivo, ne' in Storia, ne' in Filosofoa. Poi un bel giorno, nell'ora di Filosofia fui interrogato su Pascal (che ora ho dimenticato del tutto). Ricordo che quel giorno, invece di tentare di ripetere la lezione come un pappagallo, decisi di sostenere con forza il mio punto di vista (ne avevo sempre uno -silenziosamente-, peccato non fosse mai quello ortodosso). Che tanto avrei comunque preso un brutto voto, tanto valeva sfoderare l'orgoglio. Ricordo l'espressione sorpresa ed incredula della prof alla scoperta della mia mente critica. All'inizio sembrava addirittura condannare la mia superbia, ma poi, con lo svolgimento dell'interrogazione, la sua convinzione che io fossi un cretino cominciava a sgretolarsi. Ricordo che fece intervenire anche il secchione della classe, ed allora è diventata una discussione tra me e lui, sotto gli occhi sconcertati dei compagni di classe. È stato il mio primo voto buono in Filosofia. Il primo di una lunga serie.
Questo episodio mi ha sicuramente aiutato nella media per Filosofia, ma non ha modificato in nulla le mie sorti in Letteratura (italiana, latina o inglese) ne' in Storia. In quelle continuavo ad essere un somaro. Però è servita ad accrescere un po' l'autostima. Ho capito che, se volevo, potevo farcela.
Ma l'ottusità delle prof di Inglese e di Italiano e Latino, addirittura della stessa prof di Storia e Filosofia non avevano pari: il mio successo in Filosofia dimostrava palesemente, a questo punto, che io ero un somaro perché non mi applicavo. Facevo apposta! Neanche da prendere in considerazione l'idea di aiutarmi!

Sarebbe stato bello avere un professore come Pennac.

"Diario di scuola" ["Chagrin d'école"] è sostanzialmente la descrizione del metodo educativo, applicabile al ruolo del professore, ma secondo me anche a quello del genitore. A volte il flusso del libro cade un po' nella semplificazione: non credo che il mondo docente si possa dividere chiaramente in buoni e cattivi, e non credo nemmeno che la "somaraggine" sia così facilmente identificabile ed isolabile. Il mondo della scuola ed in generale dei giovani è più complicato di come lo descrive Pennac. Però secondo me è un libro che val la pena di essere letto. Gli ex somari possono smettere di sentirsi soli nella loro somaraggine e riscoprire che si tratta di esperienze vissute anche da altri. Genitori ed insegnanti possono essere guidati nel difficile compito di aiutare il somaro. Tutti gli altri possono empaticamente constatare di essere stati solo un po' più fortunati per non aver dovuto subire questa condizione.

E voi, eravate somari o secchioni? Oppure un po' e un po', come me?

Di Pennac ho già letto (due volte!) tutta l'esalogia (in lingua originale è una eptalogia) di Benjamin Malaussène: "Il paradiso degli orchi" ["Au bonheur des ogres"], "La fata Carabina" ["La fée carabine"], "La Prosivendola" ["La petite marchande de prose"], "Signor Malaussène" ["Monsieur Malaussène"], "Ultime notizie dalla famiglia" ["Monsieur Malaussène au théâtre" e "Des Chretiens et des maures"], "La passione secondo Thérèse" ["Aux fruits de la passion"].
Inoltre ho letto "Signori Bambini" ["Messieurs les enfants"], e il fumetto "Gli Esuberati" ["La débauche"].

Mi è piaciuto tutto cio' che ho letto di questo autore.

martedì 8 luglio 2008

Manifestazione

Oggi la manifestazione contro la legge blocca-processi di Berlusconi, alle 18:00 in Piazza Navona, a Roma. Peccato non esserci.
Oltre agli organizzatori, Furio Colombo, Paolo Flores d'Arcais, Francesco "Pancho" Pardi, aderiscono anche Antonio di Pietro, Dario Fo, Andrea Camilleri, Margherita Hack, Sabina Guzzanti, Ascanio Celestini, Moni Ovadia, Rita Borsellino, Marco Travaglio, Dacia Maraini, Gianni Vattimo.

MicroMega.

Addirittura George W. Bush sembra aver capito di che pasta e' fatto il nanetto!

mercoledì 2 luglio 2008

Le albicocche di nonno Gino

Da qualche parte ho letto che la memoria visiva, negli esseri umani, è più persistente di quella degli altri sensi.
I colori dell'estate nel giardino dei nonni, ad esempio, sono ancora molto vivi nella mia memoria, dopo più di trent'anni.
Un particolare, in quel giardino, mi sembra quasi riassumere la mia infanzia: l'albicocco.
Un albero centenario, enorme, che faceva coppia con un fico di dimensioni simili dalla parte opposta.
L'albicocco del nonno produceva quintali di frutti che maturavano contemporaneamente in pochi giorni, ed in quei giorni quantità che mi parevano incredibili venivano spartite con parenti, amici, vicini di casa. Perché allora non si sprecava niente. L'eccesso che pur c'era dopo questa distribuzione veniva trasformato da mamma e dalle altre donne della famiglia in tanta marmellata da poterci nuotare dentro, che veniva buona per tutto il resto dell'anno.
L'immagine di quella frutta è davvero molto evocativa. Però pensavo di essermene dimenticato il sapore.
È da allora che non assaggio delle albicocche che sappiano di albicocca. Saranno trent'anni che quelle che mangio sono acquistate al supermercato. Non sanno di niente, perché, per ragioni commerciali, vengono colte acerbe e fatte maturare sui banchi espositivi.
L'altro giorno ho addentato una albicocca acquistata al GAS di cui vi ho parlato nel post precedente. Subito la memoria e' volata nel giardino dei nonni con me, ginocchia sbucciate, a giocare con mio fratello, come se fosse successo ieri.

Ecco la nostra seconda spesa al GAS:
  • 1kg pane casereccio con noci - 3.95€
  • 1kg pane di farro, semi di zucca, fiocchi d'avena - 3.95€
  • 1kg pane pugliese con farina di semola di grano duro - 3.10€
  • 1kg pane tranvai farina 0, uvetta e albicocca - 2.50€
  • 500g albicocche bio - 2.10€
  • 1kg pesche noce bio - 3.40€
  • 1kg fiocchi 5 cereali - 3.55€
  • 1l detersivo piatti - 1.50€
  • 1.470kg melone - 4.70€
Totale: 28.75€

In particolare, oltre alle albicocche, il melone e il pane sono buonissimi.
Stavolta la spesa è stata prenotata in anticipo, ed è stata ritirata in una sede staccata, comodissima perché molto vicina a casa (anche se ci si arriva comunque in auto). Lo svantaggio è che qui si effettuano solo le consegne, ma non c'è il secco e l'eccesso disponibile da acquistare al momento.
Lo spreco di imballaggi è stato ridotto al minimo: uno scatolone di cartone mezzo rotto recuperato da qualche fornitura, due sacchetti di carta di secondo uso per il pane, un sacchetto di plastica usato per le albicocche e uno per i cereali. Un flacone di plastica usato per il detersivo, da restituire. Pesche e melone senza confezione.