martedì 24 febbraio 2009

La misura dell'uomo

L'uomo è la misura di tutte le cose (Protagora).
Sono due ore che aspetto e chi se ne importa se mi guardano, borbotto a voce bassa mentre mi cerco in un angolo dello specchio per ravviarmi i capelli e aggiustare il nodo della cravatta. Ci sono tante cose nello specchio: schiene di materiale sintetico che sfoggiano giacche di marca, gambe infilate in pantaloni di lino perché si avvicina l'estate, strane strutture vagamente antropomorfiche per sostenere camicie oppure maglioni di quelli che si portano con noncuranza sulle spalle, e lì, fra due paia di mocassini, c'è anche la mia testa, il mio viso un po' nervoso, serio, speranzoso.
La gente mi osserva, qualcuno sorride, altri danno una gomitata al compagno perché mi guardi e so che non è per via di quel che indosso. Vestito o nudo non passerò inosservato. Ho raccolto dei fiori nel parco qua vicino, niente di straordinario, fiori semplici che erano lì, a portata di mano. Non so nemmeno come si chiamano.
Verrà? Ne dubito, pereché so quant'è difficile vincere una paura che non è paura, una vergogna che non è vergogna, la colpa più innocente. Ne dubito e, per vincere la sfiducia delle ore passate ad aspettare mi accendo una sigaretta. Ora attiro molto di più gli sguardi dei passanti. È sempre così. "Sta fumando", "Sta mangiando", "Sta piangendo". Qualunque cosa faccia, è sempre così.
All'improvviso guardo il mazzo di fiori e scopro che la mia mano, invece di reggerli, li stringe, li strangola con quella violenza minima che basta a sconfiggere i loro fragili colli vegetali. Sorrido pensando che sono appassiti in un lasso di tempo davvero minimo, come le bandiere di un esercito altrettanto minimo e sconfitto, e i loro petali cenciosi mi dicono che è tempo di intraprendere la ritirata.
Getto i fiori nel primo cestino dei rifiuti e mi allontano, seguito dagli sguardi dei passanti e delle loro voci che dicono: hai visto il nano come ha buttato via i fiori? Aveva un appuntamento? Con una nana? Hanno tirato un bidone al nano. Sono strani i nani, e altri commenti sulla cui statura non voglio ne' devo pronunciarmi.

Luis Sepúlveda, La lampada di Aladino.
Tempo fa vidi, alla trasmissione televisiva La Vita in Diretta, questa intervista a Marco Sessa, vicepresidente dell'AISAC, Associazione per l'Informazione e lo Studio dell'Acondroplasia.
Non sono solito seguire quel programma di gossip, ma in quella occasione fui consigliato da una persona a me vicina, mamma di un bimbo acondroplasico, a conoscenza della programmazione, per quel giorno, di quella intervista.

Vi risparmio una ricerca su Wikipedia: l'Acondroplasia è una malattia genetica, una forma di nanismo. Colpisce in particolar modo gli arti, che crescono di meno rispetto al resto del corpo (per gli interessati ecco il link).

Al di là dell'aspetto medico-scientifico e del problema delle barriere architettoniche,
quello che mi ha colpito nell'intervista è la constatazione di come io, pur avendo un caso a me vicino, non abbia mai considerato prima l'umiliazione che coloro che sono affetti da questa sindrome devono subire. Ogni volta vengono nominati come fenomeni anormali, tanto che il nano e' considerato una attrazione da baraccone, quella parola e' quasi un insulto. Penso ai circhi, ma anche a opere di qualunque livello (la favola di Biancaneve, la saga del Signore degli Anelli, la serie TV Fantasilandia, la canzone il Giudice di De André...).
O addirittura l'offesa implicita nei loro confronti quando vengono paragonati con disprezzo a Berlusconi (psico-nano), con un cattivo gusto paragonabile a quello dello stesso Berlusconi nei confronti del colore della pelle di Obama (abbronzato), quasi che la statura fisica fosse in qualche modo uno specchio di quella morale...

Da quel giorno sto cercando di imparare a misurare meglio quella parola.

lunedì 16 febbraio 2009

M'illumino di meno


La locandina dell'iniziativa
Il 13 febbraio è stata la giornata del risparmio energetico, una iniziativa del programma radiofonico di RadioDue Caterpillar, in occasione dell'anniversario dell'entrata in vigore del Protocollo di Kyoto.
Per questo evento, i conduttori del programma invitano a spegnere più luci e dispositivi elettrici possibile, per un'ora e mezza a partire dalle 18:00.
Si è calcolato che il risparmio sia stato di circa 500MW, contro i 400 dell'edizione dell'anno scorso, quindi un successone.
Oltre ai privati cittadini hanno aderito anche parecchie associazioni e luoghi pubblici, come ad esempio il Colosseo e San Pietro. L'iniziativa e' stata esportata anche all'estero.

Anche negli anni scorsi, ho sempre pensato che questa iniziativa pur avendo un grande valore simbolico, agli effetti pratici non cambiasse veramente le cose.
Nell'edizione del 2008 si è valutato che il risparmio energetico di quell'ora e mezza fosse equivalente al consumo dell'intera Umbria per l'equivalente lasso di tempo. Il che sembrerebbe tantissimo, ma, se ci si pensa bene, si conclude che la sola Umbria consuma 400MW di corrente in solo un'ora e mezza, e quindi il risparmio a fronte dell'iniziativa è evidentemente irrisorio.
Senza contare poi che se per esempio si evita di utilizzare il forno a microonde durante quell'ora e mezza, con ogni probabilità si avrà necessità di farlo dopo, utilizzando la stessa quantità di corrente risparmiata prima.

Quest'anno, Maddie, Mr. Bentley, R ed io abbiamo deciso di provarci (per la verità solo R ed io abbiamo autorità in materia). Abbiamo spento le luci, il PC, la tv e gli altri elettrodomestici, standby compresi.
Eccetto il telefono.
E la sveglia.
E il frigo.
"Vado a fare la doccia", dico. Al buio? Decido di portarmi una candela.
Accidenti, il termostato che fa partire la caldaia (a metano) per l'acqua calda è elettrico. Altra eccezione.
Esco dalla doccia. E adesso i capelli come li asciugo? Be', potevo pensarci prima, ora mi tocca usare il fon.
Poi devo prendere la biancheria pulita. Sta nell'armadio. E l'apertura delle ante aziona un interruttore che accende una luce dentro l'armadio. Be'... potrò mica rimanermene in accappatoio fino alle 19.30?!
Esco per prendere un paio di pizze d'asporto. Il cancello del condominio è elettrico. Le luci condominiali sono accese, così come i lampioni per strada e le luci della pizzeria. La pizzeria stessa, pur avendo il forno a legna, credo non funzionerebbe senza elettricità.
Torno a casa con le pizze, stando ben attento a non accendere niente. Mangiamo a lume di candela (il che è anche romantico, degno della vigilia di san valentino). Finalmente sentiamo scoccare le sette e mezza dalle campane della vicina chiesa, azionate elettricamente.

Ci ripenso. Risparmiare elettricità è importantissimo, ma questa esperienza mi ha insegnato che farne a meno del tutto, sia pure per un'ora e mezza, è quasi impossibile.
L'unica è usare fonti pulite.

giovedì 12 febbraio 2009

Eluana Englaro e la Luce della Verità

Comunque la si pensi, è una tragedia.
17 anni fa una ragazza ventunenne ha un brutto incidente. Poi rimane in coma per 17 anni, fino a l'altro giorno.
E poi muore.
Mette tristezza.
Di quelle tristezze che andrebbero sofferte nell'intimo silenzio delle nostre coscienze.
E qui chiudo l'argomento, per soffrire questa tristezza nell'intimo silenzio della mia coscienza.

Ma c'è un altro aspetto della vicenda.

Una democrazia si basa sulla non assolutezza della verità. O, quanto meno, sull'inconoscibilità della verità assoluta.

Silvio Berlusconi
Infatti è evidente che se esistesse una verità assoluta conosciuta, anche la morale sarebbe assoluta. E quindi ogni decisione politica, data l'assurdità di una presa di posizione immorale, dovrebbe essere già determinata. Non ci sarebbe bisogno di una scelta. Tantomeno di una scelta popolare.
Se ogni cittadino ammettesse l'esistenza della verità assoluta e riconoscesse almeno una persona fisica come detentore della conoscenza di quella verità, il problema del governo del popolo sarebbe semplicemente risolto attribuendo potere assoluto proprio a quella persona. Si avrebbe quindi un governo che non solo agisce nel rispetto delle esigenze del popolo, ma lo farebbe anche nel modo più moralmente giusto.
Purtroppo (o per fortuna?) la verità assoluta non esiste, o se esiste non la conosciamo. Nemmeno i più integralisti cattolici sono veramente disposti a riconoscere a qualcuno la capacità superumana di conoscerla.
E quindi ci dobbiamo accontentare della Democrazia.

La nostra Costituzione basa i fondamenti della Democrazia sulla divisione netta tra i tre poteri Giudiziario, Legislativo ed Esecutivo. La Magistratura si occupa di quello Giudiziario, il Parlamento di quello Legislativo e il Consiglio dei Ministri di quello Esecutivo. E il Presidente della Repubblica si occupa di mantenere distinti i tre poteri, evitando che le azioni di chi detiene uno dei tre interferiscano con gli altri due.

Ora, a me, personalmente, non piace molto che uno dei tre organi (la Magistratura), che in qualche modo rappresenta la società dei cittadini italiani, sia chiamato a decidere su un caso come quello di Eluana, che dovrebbe invece essere relegato al pudore dell'intimità di coscienza, e che, mi pare non possa essere generalizzato. La questione, poi, riguarda un ambito filosofico e morale, dunque non assoluto. Difficile credere che abbia quindi una esauriente soluzione politica.
Insomma, non mi va molto a genio che la società decida su un argomento che è, e dovrebbe rimanere, individuale.
Ma tant'è. La Magistratura è stata chiamata a decidere sulla richiesta del padre di Eluana di poter staccare la spina. E si è espressa in modo completo, preciso ed inequivocabile.

Si può essere d'accordo o no, ma bisogna ammettere che la sentenza c'è, ed è stata ottenuta correttamente. Ora, un normale cittadino può anche ribellarsi, accettando di subirne poi le conseguenze.
Anche Berlusconi, come normale cittadino, avrebbe la possibilità, e anche, addirittura, l'obbligo morale di manifestare il proprio dissenso, se ritiene la sentenza eticamente sbagliata. E, a mio modo di vedere, se lo ritenesse opportuno, anche di cercare di impedirla illegalmente.

Ma si dà il caso che Berlusconi non sia un normale cittadino. È il Presidente del Consiglio dei Ministri. Il detentore del potere Esecutivo, e il potere Esecutivo non deve in nessun modo interferire con quello Giudiziario. A meno di mettere in discussione i fondamenti stessi della Democrazia. E infatti il garante di questa divisione dei poteri, il Presidente della Repubblica Napolitano, bene ha fatto ad esercitare la propria autorità in modo che ciò non avvenisse (rifiutandosi di firmare il decreto legge). Allo stesso modo anche il Presidente della Camera dei Deputati Fini (potere Legislativo), bene ha fatto a ribadire la propria autorità in Parlamento.

Evidentemente Berlusconi si ritiene una specie di giuda morale. E ritiene che ciò che lui considera giusto sia giusto in assoluto. E perciò crede che sia lecito imporlo. E quindi che chi si rifiuta di accettare questa sua infallibilità morale sia spinto dal Male.
Berlusconi mostra questa aria incredula di fronte a chi osa mettere in discussione la certezza che lui sia nel giusto. Siano maledetti tutti quegli assassini comunisti coglioni che si permettono di non riconoscere la natura semidivina di Berlusconi.

Però io non penso che Berlusconi sia così stupidamente fanatico da credere veramente di essere un illuminato da Dio.
Anzi, penso che sia davvero furbo. Il suo scopo non è realizzare il suo bene morale.
Penso che non si ponga nemmeno il problema. Che si limiti a fare il proprio sporco interesse. E cerchi il modo di avere carta bianca per farlo a briglie sciolte. Poco importa se per fare ciò bisogna calpestare l'epilogo dell'ultimo respiro durato ormai diciassette anni di una donna moribonda. O il pudore del dolore dei suoi genitori. Poco importa se per farlo bisogna pulirsi il culo con il patto sociale, i fondamenti della costituzione, la democrazia.

Berlusconi è un dittatore in potenza. Si tratta soltanto, per lui, di trovare un modo sicuro per ottenere il potere assoluto che ad un vero dittatore compete.
Mi pare che ormai ci siamo proprio vicini.

venerdì 6 febbraio 2009

Une gourmandise

Un cuoco per essere pienamente tale deve mobilitare tutti e cinque i sensi. Una

Muriel Barbery
pietanza deve essere una gioia per la vista, per l'olfatto, per il gusto, certo, ma anche per il tatto, che così spesso orienta le scelte dello chef e ha il suo ruolo nella festa gastronomica. L'udito non sembra avere molta voce in capitolo, ma è pur vero che l'atto del mangiare non è caratterizzato né dal silenzio né dal baccano, perché ogni suono che interferisce con la degustazione la favorisce o la ostacola: in questo modo il pasto si rivela decisamente sinestetico.

Il pomodoro crudo, divorato appena colto in giardino, è la cornucopia delle sensazioni semplici, una cascata che sciama in bocca riunendo ogni piacere. La resistenza della buccia tesa quel poco quanto basta, i tessuti che si sciolgono in bocca, il liquore ricco di semi che ci cola agli angoli delle labbra e che asciughiamo senza paura di sporcarci le dita, quella piccola sfera carnosa che riversa in noi fiumi di natura: ecco il pomodoro, ecco l'avventura.

Il vero sashimi è croccante, eppure si scioglie sulla lingua. Invita a una masticazione lenta e flessuosa che non ha lo scopo di far cambiare natura all'alimento, ma soltanto quello di assaporarne l'aerea "morbilezza". Già, la morbilezza: né morbidezza né mollezza, perché il sashimi, polvere di velluto simile alla seta, porta con sè un po' di entrambe e, nella straordinaria alchimia della sua essenza vaporosa, mantiene una densità lattiginosa che le nuvole non hanno.

Il punto non è né mangare né vivere, è sapere perché. Nel nome del padre, del figlio e del bignè, amen. Muoio.


(Brani tratti da Muriel Barbery, Estasi Culinarie)
Uhm... "croccante"?