mercoledì 9 settembre 2009

Daniele Bonfanti: L'Eterno Sogno

Vedendolo così, di primo acchito, sembra un bel libro.
Minimalista, direi. Tutto nero, con una lieve irregolare sfumatura nella metà inferiore e, in grigio, solo il titolo "L'Eterno Sogno" in quella superiore, con un font semplice.
Sulla costa c'è di nuovo il titolo, con il nome dell'autore, Daniele Bonfanti oltre al logo della casa editrice Lulu.
Nella quarta di copertina stona un po' il riquadro bianco con il codice a barre, ma nel complesso non è male. Com'è consuetudine ci sono riportate delle brevi annotazioni che descrivono l'autore e il romanzo.
Queste annotazioni sembrano scritte direttamente dall'autore stesso e non si tratta, come avviene di solito, di citazioni da recensioni.
E con che autocelebrazione, poi!
La prima, posta in evidenza in corsivo, sembra una battuta nel contesto di un'intervista:
"Qualcuno dice che il fantasy è 'letteratura di serie B'... Credo che Omero si stia rivoltando nella tomba.".
Se con "fantasy" si intende un genere i cui personaggi sono elfi, nani e simili, a me pare di non aver mai sentito nessuno permettersi di definire... chessò... la trilogia di Tolkien "letteratura di serie B". Sarebbe come ridurre i Promessi Sposi a un romanzetto rosa, o la Divina Commedia all'omelia di Don Camillo.
Forse Bonfanti si riferisce ad alcuni detrattori di un filone letterario un po' più "leggero".
Non so se ha molto senso far ricadere in un unico calderone cose come L'Eterno Sogno, Il Signore degli Anelli, le favole dei fratelli Grimm, la saga di Shrek, i Puffi e l'Odissea. Certo, tutte queste opere raccontano di personaggi di fantasia (quindi sono Fantasy?!?), ma accomunarli mi pare giusto un po' pretenzioso.

Va be'... Non si vorrà mica giudicare un libro dalla quarta di copertina! Soprattutto dopo che la facciata e la costa sono uscite così bene dalla mia precedente analisi.

Uno dei "diritti del lettore" sanciti da Daniel Pennac ["Come un Romanzo" (1992)] parla della libertà di abbandonare la lettura di un libro in qualunque momento.
A me, però, non piace approfittare di questo diritto. Per la verità c'è qualche libro che ho smesso di leggere ben prima della fine. Per esempio "Così Parlò Zarathustra" di Nietzsche l'ho piantato lì alla prefazione, oppure di "Kant e l'Ornitorinco" di Eco non sono riuscito a superare il capitolo 1. Ma in questi casi, ed in altri simili, la ritirata l'ho battuta per ammissione di incapacità (o per riconosciuto eccesso di superbia al momento di intraprendere la lettura). I libri erano troppo difficili per me, e la loro comprensione avrebbe potuto richiedere più energie di quanto fossi in grado di spendere, nell'incertezza di riuscire nell'impresa.
Mai invece mi è capitato di lasciare un libro perché non l'apprezzassi.
Perché se la lettura mi appassiona, non c'è ragione di smettere. Se invece non mi piace, rimane la curiosità, o almeno la speranza che, continuando a leggere, più in là si faccia più interessante.

Questo è un libro che, leggendolo, non mi è piaciuto, ma per inerzia l'ho finito sperando di trovare qualcosa per cui ne valesse la pena.
Invano.

Il linguaggio è pesante, lo stile è noioso, addirittura il vocabolario è limitato e pedante. È sorprendente notare, ad esempio, l'uso massiccio e ingiustificato dei verbi "emergere" e "riemergere" (considerando anche che si finisce in acqua in un solo episodio di tre o quattro pagine!). Nel mondo di Daniele Bonfanti i personaggi emergono dall'erba, dal sonno, dalla battaglia, dalla caverna. Le orecchie degli elfi emergono dai loro capelli e la Luna emerge dalle montagne!
I personaggi sono descritti solo approssimativamente, e questo ce lo si porta fino alla fine del libro. Il drago protagonista, ad esempio, non sono riuscito ad immaginarmelo gran che diverso da Wally Gator di Hanna-Barbera. Che, davvero, in un contesto drammatico come quello del libro, risulta del tutto inconsistente. Specie quando flirta con la gattina tutta tenerezza dai begli occhioni verdi.
La storia poi! una serie di avventure scorrelate tra loro, assolutamente senza significato metaforico e inutili allo svolgimento della trama principale. Giusto per dare un po' di movimento alla narrazione.

Gli eroi del romanzo sono quattro draghi, due elfi, due kennin (una sorta di gatti), un nano, un lerlet (rettile bipede e cornuto) e un... mmmh... boh... un tipo incappucciato. Dopo aver percorso la Via seguendo il soffio del Vento dell'Ovest, trucidando in malo modo un manipolo di bogolidi e goblin, creature malvage e disgustose, arrivano quindi alla Città Grigia dove si alleano con altri bogolidi e goblin per combattere gli elfi e i nani che, a sorpresa, costituiscono l'armata dei cattivi. Parti invertite, dunque. Perché? Boh!
Il tutto si risolve con il duello finale tra il drago Xaas e il mago. Tra magie e sortilegi quest'ultimo non riesce a fronteggiare la forza bruta e muore nel modo più concreto: decapitato da un morso con un'ascia in petto. Chissà se almeno questa scelta non abbia una simbologia che io non riesco a cogliere!

Alla fine il drago riesce sì a richiudere la porta magica, da cui avrebbe potuto uscire l'elemento dell'acqua per inondare il mondo. Ma non riesce a distruggerla, come avrebbe dovuto. Il che lascia intuire la futura pubblicazione di una seconda parte della storia.
Aenasyan ce ne scampi!

Ecco qui un esempio tratto dal libro, dove Bonfanti ci onora della sua teologia da bar Sport.
Personaggi: l'elfo Aelorn; la kennin Aina; i draghi Dhrek, Xaas e Kab; il nano Ghrun.
(...)
Aelorn chiese a Aina: "Ma come un solo dio? Io credo che quello che tu chiami Leone di Fiamma potrebbe essere il vostro Spirito Guida. Ma non può essere che esista soltanto il vostro, è assurdo."
Aina sorrise. "Forse quello che tu chiami Aenasyan e quello che io chiamo Leone di Fiamma sono la stessa cosa, che si mostra con volti diversi."
Aelorn rifletté. "Potrebbe essere come dici. Ma gli altri Spiriti? Ce ne sono centinaia, quanti sono i fiumi e le montagne e le foreste."
Aina scosse la testa. "Noi crediamo che soltanto il dio Sole sia il creatore, e che abbia schiere di demoni a proteggere la sua creazione."
Aelorn annuì, ragionando febbrilmente. "Forse questi 'demoni' sono gli Spiriti..."
Dherk chiese, visibilmente incuriosito, rivolto a Aina: "Da quanto dici, questo 'Leone di Fiamma' può fare quello che gli pare. È così?"
"Tutto ciò che vuole, e cioè ciò che è bene e ciò che è giusto."
Xaas scosse la testa. "E perché non lo fa?"
"Cosa intendi?"
"Ti sembra 'bene' tutto questo?"
"Forse vuole metterci alla prova."
"Complimenti. Bel dio buono. Si diverte a metterci alla prova e per farlo ha proprio bisogno di far morire Kab e Ghrun. Per vedere cosa?"
"Chi può dirlo... Lui è talmente grande che il suo volere per noi è incomprensibile, a volte..."
"E allora, se non lo capisci, come fai a dire che è buono, giusto, e tutte quelle cose?"
Aina non ebbe esitazioni. "Per fede."
"Fede? Uno la fiducia dovrebbe meritarsela. Non do fiducia a uno che fa morire i miei amici per mettermi alla prova. Comunque il tuo ragionamento non ha senso. Dici che questo dio vuole il bene. Ma il bene di chi?"
"Di tutti."
"Ma non ha nessun senso. Ciò che è bene per me sarà il male per un altro. Per noi è bene uccidere il mago, ma certamente lui non è d'accordo. Non trovi?"
"Ma c'è un bene assoluto. E un giusto assoluto."
"E chi le stabilirebbe queste belle cose?"
"Il dio Sole, naturalmente"
"Naturalmente. Allora che le stabilisca per sè. Io preferisco scegliere da solo, senza che mi dicano cosa devo fare, e cosa non devo fare."
(...)
Per essere sinceri, a me non piace molto parlare male delle cose che non mi piacciono. Preferisco parlare bene di quelle che mi piacciono.
Ma in questo caso, davvero, l'irritazione per aver sprecato del tempo prezioso è tale da indurmi a rivedere la mia personale interpretazione dei diritti del lettore. La speranza che il seguito diventi interessante non è una buona ragione per continuare a leggere.

2 commenti:

Artemisia ha detto...

Pennac ha sicuramente ragione, ma anch'io, come te, spero sempre in un riscatto finale che talvolta c'è.
E poi mi dico che non posso vantarmi di aver letto un libro se non l'ho finito.
Però ti immaginavo più "anarchico" in questo senso.

PS a me il fantasy proprio non piace.

dario ha detto...

Artemisia. Credo di essere "anarchico" in un altro senso.
Non ho un genere preferito o un genere che non mi piace in assoluto. Credo, insomma, che il mio gusto non dipenda dal genere. Tra i libri che mi sono piu' piaciuti infatti c'e' il signore degli anelli, mentre questo qui e' decisamente il libro peggiore. E sono entrambi "fantasy"?

Diciamo che mi piacciono i romanzi in genere. Nel senso che se un libro non racconta una storia, di solito, mi annoio.