martedì 5 ottobre 2010

Jamme jamme jà curriculì, curriculà

Primi anni '90.
Un po' ingessato nella sua tenuta da competizione (giacca e cravatta davvero non fanno per lui), con la ventiquattrore Delsey che l'aveva accompagnato in tutti gli anni di corso (e anche quelli fuori corso), il giovane Dario si reca all'appuntamento per l'ennesimo colloquio di lavoro. Ne ha gia' fatti tanti, per la verita' (e' un periodo in cui ancora gli informatici valgono qualcosa, nel mercato delle vacche), ma ancora non riesce a scrollarsi di dosso quella agitazione, come se dovesse andare di fronte al prof per un esame orale.
E' convinto che tutto sommato non bisogna dimostrare niente piu' ne' meno di quello che si e' e si sa, perche' bluffare puo' essere controproducente (se quelli ti assumono sulla base delle tue conoscienze, poi quando si rendessero conto che quelle conoscienze non ce le hai, ti caccerebbero - giustamente - a calci in culo).
Niente menzogne, quindi. Regola numero 1. Il trucco e' solo presentarsi bene valorizzando quello che si sa fare, e su questo, al giovane Dario, non lo batte nessuno.
Perche' allora quella sgradevole tensione nervosa? E si' che non e' proprio un ragazzino - dopo tutti quegli anni fuori corso. Ha avuto la possibilita' di scegliersi un piano di studi modellato sui propri interessi, anche se perseguirlo gli ha comportato un enorme dispendio di tempo ed energie. Fortuna che papa' e mamma l'hanno supportato in quel progetto. Eh si', uno come lui, qualche anno dopo, un ministro di un governo di centrosinistra l'avrebbe definito "bamboccione". Boh! Valli a capire 'sti ministri dei governi di centrosinistra!

Ci arriva in auto, Dario, al Centro Direzionale, tutto edifici di vetro e acciaio pieni di uffici... "no... non credo che mi piacerebbe passare parte della mia vita qui..." pensa, chiedendosi che cosa diavolo significhi l'espressione Centro Direzionale. Dario era pronto ad accettare un lavoro a prescindere, perche' essere non-occupati e' frustrante, oltre che pesante sulle spalle dei genitori (in realta' Dario poi trovera' un lavoro soddisfacente in qualche mese).
Parcheggiata l'auto, un'occhiata all'orologio. E' uscito presto di casa per essere sicuro di arrivare in tempo - regola numero 2: mai arrivare in ritardo ad un colloquio. Questo gli ha comportato un notevole anticipo - regola numero 3: mai arrivare in anticipo ad un colloquio. Okay, c'e' un bar. Il nostro va a perdere tempo dietro ad un caffe' e ad una sigaretta (in quei tempi era ancora consentito nei locali pubblici). Anche la barista e' tutta in tiro in quella divisa da bar professionale. Ma dove siamo finiti, in un altro pianeta?
Finalmente e' l'ora dell'appuntamento. Dario suona al citofono "Sono C, ho un appuntamento per un colloquio". Un uomo tutto grigio dall'eta' indefinibile lo accoglie presentandosi. "La faccio accomodare e intanto la prego di compilare questo modulo". Gli porge il modulo e gli apre la porta di un ufficio. E' un ufficio piuttosto ampio, con un tavolo rotondo nel bel mezzo, alcuni poster alle pareti, uno scaffale vuoto, un orologio appeso, tipo Ikea, che segna un minuto di anticipo rispetto l'ora dell'appuntamento. Il silenzio e' rotto solo dal ticchettio dell'orologio. Il colore predominante e' il grigio, la bella giornata sul giardino proprio fuori dalla finestra e' parzialmente nascosta dalla veneziana semichiusa. Ma il locale e' ben illuminato da luci al neon. Dario, lasciato solo nella stanza, inforca la penna e si china sul modulo. Come previsto ci sono domande di tipo anagrafico... nome, cognome, sesso, domicilio, nascita. Seconda pagina: curriculum. Esperienza lavorativa (nessuna), formazione... Dario si chiede perche' gli vengono richieste le stesse informazioni per cui e' stato preselezionato attraverso il suo curriculum. Ma non se lo chiede troppo a lungo: non e' la prima volta che deve compilare una cosa simile.
Terza pagina: test di intelligenza per scimmie. Triangolo, quadrato, pentagono: qual'e' l'elemento successivo? a) cerchio; b) cuoricino; c) esagono. E via cosi' per un numero incredibile di domande, da sfiancarsi le dita a mettere crocette sulle risposte esatte.  Dario vorrebbe dimostrare la propria indole creativa, piuttosto che l'intelligenza da primate, ma non c'e' verso, se anche riuscisse a formulare una legge che gli permettesse di dare una risposta diversa e non ovvia, verrebbe valutata una risposta sbagliata, visto che una spiegazione non e' prevista. I selezionatori sono convinti che il determinismo dell'universo si manifesti nella negazione di ogni creativita', e che quindi l'artista non esiste. Ma che cos'e' l'artista? - si chiede Dario.
Quarta pagina: simile alla terza
Quinta pagina: simile alla quarta. Dario comincia ad essere un poco scocciato. E' gia' passata oltre mezz'ora dall'ora dell'appuntamento e lui non ha fatto altro che mettere crocette su un foglio prestampato, in totale solitudine e rilassatezza. L'atmosfera non e' ne' ostile ne' amichevole. E' semplicemente fuori dal mondo, chiuso in quella stanza illuminata dai neon. Fa quasi freddo, nonostante la stagione estiva. L'aria condizionata e' a manetta.

Dario ha finito di compilare il suo questionario. Ci pensa un secondo ma poi... no, non merita di essere ricontrollato. Si appoggia alla comoda spalliera della sedia e si guarda intorno. Tic. Tac. L'orologio gli da' un po' sui nervi. Quaranta minuti oltre l'ora dell'appuntamento. Chissa' - pensa Dario - magari mi stanno lasciando da solo in questa stanza apposta, per poi condurmi in un'altra e farmi domande sui particolari di questa, per testare il mio spirito di osservazione. Non si sa mai - 'sti esaminatori sono spesso degli psicologi-da-pane-e-salame. Va be'! E quindi dovrei dimostrare di essere patologicamente un acuto osservatore o di essere superficiale e non aver osservato niente? Be', mai mentire ai colloqui, regola numero 1. Quindi nel caso me lo si chieda rispondero' che avevo previsto che me lo si chiedesse. Nel qual caso potrei mostrare forza di carattere per non essermi piegato ad una richiesta stupida oppure dovrei dimostrare di essere quello che accetta le regole ed agisce in rispetto della loro autorita'. Nel primo caso dovrei cercare di memorizzare i dettagli, nel secondo caso dovrei evitarlo. Boh, non si sa mai, tanto siamo qui a perdere tempo, osserviamo. L'orologio e' rotondo, i numeri sono romani solo sui quarti di giro: III, VI, IX, XII. Lo scaffale ha tre ripiani. Nel paesaggio agreste ritratto nel poster la cascina ha due ordini di otto finestre con gli scuri verdi, tutti aperti tranne la prima finestra a destra del piano terreno...
Cinquanta minuti dopo l'ora dell'appuntamento.
Cinquantacinque minuti. Dario comincia a guardare impazientemente l'orologio. Bussano finalmente alla porta e aprono senza attendere risposta. Dario fa a tempo a ricomporsi e, alzandosi, a girarsi. Appare una donna, finta bionda, con un po' troppo trucco. Un tailleur elegante blu, con camicetta un po' troppo sbottonata. Non guardare li', Dario. Sorride e porge la mano "Ci scusi se l'abbiamo fatta attendere". Dario nota l'uso del plurale a sproposito e il femminile che suona buffo ad accordarsi in genere al pronome Lei.
L'esaminatrice tiene una di quelle cartellette rigida a clip su cui e' agganciato il curriculum. Gli chiede di accomodarsi. Il tavolo e' piuttosto ampio, per cui si siedono uno accanto all'altra, contorcendosi un poco per guardarsi in faccia.

Esaminatrice: "Dottor C, cosa L'ha spinta a preferire la nostra Azienda?"
Dario (riprendendo il plurale di prima): "In realta' quel che so dell'Azienda e' quello che ho letto sul vostro annuncio"
Esaminatrice: "Si', ma ci ha spedito il curriculum, quindi..."
Dario (mai mentire, regola numero uno): "In realta' ho risposto ad altri annunci, oltre al vostro, ed ho spedito molti curriculum, nell'intenzione di..."
Esaminatrice: "Curricula"
Dario (possibile?!?): "Scusi?"
Esaminatrice: "Curricula. Lei ha spedito molti curricula. Singolare: il curriculum, plurale: i curricula".
Dario (perplesso): "...ne ho spediti molti nell'intenzione di..." (ma perche' subire?)
Esaminatrice: "...?!"
Dario (sorridendo): "Eh gia'. Lei ha ragione. Curriculum e' un neutro della seconda declinazione, e il nominativo plurale e' in -a, quindi. Curricula..."
Esaminatrice (faccia perplessa ma soddisfatta di ottenere ragione): "..."
Dario (tentando di dissimulare la soddisfazione per il sovvertimento del gioco tra le parti): "...anzi, quei cosi li ho spediti, quindi non si tratta di nominativo. E' un complemento oggetto: un accusativo plurale, dunque... Che e' comunque in -a. Curricula."
Esaminatrice (piu' irritata. Dario sta forse andando un po' oltre il limite): "si' ecco..."
Dario (fingendo espressione pensierosa): "...mi pare si tratti del diminutivo di 'currus'...".
Esaminatrice (non tenta nemmeno di mascherare l'irritazione): "...si', be', comunque, mi stava dicendo che ha spedito..."
Dario (scrollandosi la testa a dimostrare platealmente il ritorno alla realta'): "...ah, gia'... scusi... ho spedito molti curricula..." (si interrompe come alla ricerca del filo del discorso interrotto...)
Esaminatrice (senza dissimulare impazienza): "..."
Dario (maledizione, mi hai fatto buttare un'ora a fare crocette, ora tocca a me!): "...certo che..."
Esaminatrice (ormai ribolle): "?!?"
Dario (illuminato dall'idea): "...certo che in effetti, i neutri della seconda declinazione, in italiano, in genere hanno il comportamento bizzarro di declinarsi al maschile nel singolare e al femminile nel plurale..."
Esaminatrice (incazzata, ma anche incuriosita): "?"
Dario (finge di spiegare piu' a se stesso che a lei): "...si'... il muro/le mura, ad esempio. Oppure certe parti del corpo umano: l'osso/le ossa, il labbro/le labbra, il ginocchio/le ginocchia, il dito/le dita, il ciglio/le ciglia, il braccio/le braccia..."
Esaminatrice (mostrandosi falsamente divertita): "...quindi?"
Dario (ignorandola): "...gia'.... che strano quest'ultimo... nella parola composta "avambraccio" si comporta come un regolare maschile, anche al plurale: gli avambracci..."
Esaminatrice (ora deve intervenire per dimostrare la propria superiorita'): "gia'... ma si tratta di una parola comp..."
Dario (interrompendola spudoratamente): "si' ma non si spiegherebbe come la parola composta sopraciglio, si comporti come la radice, e faccia le sopraciglia, femminile al plurale..."
Esaminatrice (ora basta!): "Okay, torniamo a noi..."
Dario (ormai l'esaminatrice non esiste piu'): "...quindi, a rigore, curriculum dovrebbe essere declinato al femminile, se plurale: le curricula..."
Esaminatrice (ormai disperata, vuole passare oltre): "...okay..."
Dario (non ha nessuna intenzione di mollare il colpo): "...certo che 'curriculum' in effetti, rispetto agli altri esempi, ha la particolarita' di non essere tradotto in italiano. Nessuno dice 'il curriculo'. Si usa direttamente la parola latina: curriculum"
Esaminatrice (ammutolita non puo' far altro che ascoltare): "..."
Dario (dissimulando divertimento): "...e' che... sa cosa?"
Esaminatrice (incuriosita): "cosa?"
Dario (pazientemente spiega): "...che siamo ad un dilemma: in italiano le parole straniere non si accordano in numero, ma rimangono invariate rispetto alla radice. Cioe', non si dice 'weekends', 'fastfoods', perche' sono parole inglesi: rimangono 'weekend' e 'fastfood' anche al plurale. Lo stesso vale per le parole francesi: lo chef/gli chef, l'omelette/le omelette, il croissant/i croissant. O per quelle tedesche il blitz/i blitz, il dobermann/i dobermann, l'hinterland/gli hinterland. Per altro non conosco per niente il tedesco, quindi non saprei proprio come costruire il plurale di questi ultimi esempi..."
Esaminatrice (cercando di intervenire per mostrare un poco di cultura): "in tedesco si dice..."
Dario (ignorandola, di nuovo): "...ed e' forse per questo. Uno, per parlare italiano, non e' mica tenuto a conoscere le regole delle lingue straniere!..."
Esaminatrice (incassando il colpo): "..."
Dario (ripensando alle proprie parole): "E' che forse non e' proprio corretto considerare il latino una lingua straniera. Una lingua straniera e' probabilmente considerata quella che e' comunemente parlata in un'altra nazione da un popolo con altre tradizioni culturali. Il latino non ha queste caratteristiche..."
Esaminatrice (distrutta): "...gia' quindi..."
Dario (fingendo di seguire il discorso di lei): "...quindi forse e' giusto conservare il plurale nella lingua originale. Curricula... rimane solo da stabilire se si tratta di maschile o femminile"
Esaminatrice (mettendosi una mano alla bocca e alzando gli occhi al cielo alla ricerca di una ispirazione): "...io direi...."
Dario (venendole in aiuto): "...certo, come diceva NonRicordoPiuChi', e' l'uso che determina la grammatica e non viceversa. Io non uso molto frequentemente la parola curriculum. Probabilmente Lei per lavoro ha piu' a che fare con essa, quindi e' piu' qualificata a fornire una soluzione a questo quesito. Maschile?"
Esaminatrice (incerta): "uhm... direi..."
Dario (chiudendo definitivamente la divagazione): "Okay, maschile. Dicevo: ...ho spedito molti curricula ad altre aziende (cavoli, suona malissimo!). Alcune mi hanno risposto e sto facendo colloqui. In realta' pensavo di farmi un'idea, anche se incompleta, di questa azienda proprio durante questo incontro..."
Esaminatrice: "E se ne e' fatta una?"
Dario (abbassando irrispettoso lo sguardo sulla scollatura di lei): "Molto vaga, per la verita'. Sarebbe davvero stato carino incontrarla in abbigliamento casual, invece che in quell'elegante tailleur, per esempio"
Esaminatrice (stupita e falsamente infastidita): "Non vedo come il mio abbigliamento possa..."
Dario (aiutandola a capire): "E' che io faccio software, e sono pure bravo in questo. Pensare che il rigore nell'abbigliamento possa essere di qualche utilita' in questo campo significa che o non mi si vuole sfruttare in un impiego adeguato alle mie capacita', oppure non si ha ben chiaro quali siano le mie mansioni, in ogni caso non e' una buona valutazione del posto che mi si vuole offrire. Fermo restando che la situazione che si e' creata durante questo colloquio potrebbe essere molto diversa dall'ambiente di lavoro normale. Tuttavia e' proprio su questa che baso il mio giudizio, non avendo altri termini di confronto. Ci sarebbe invece da chiedersi su che cosa voi potreste basare la valutazione su di me..." (alzando schizzinosamente il questionario con due dita, come se fosse infetto) "su questo coso qui?" (aria di scherno).

Il colloquio prosegue poi per un'altra buona mezz'ora, durante la quale non viene fatta a Dario alcuna domanda di tipo tecnico (la cui risposta l'Esaminatrice non avrebbe comunque potuto valutare). Nessuno dei due e' piu' interessato all'altro. Alla fine l'Esaminatrice offre un caffe' a Dario, il quale rifiuta cortesemente. Si stringono la mano e lei ripete la frase di rito "Le faremo sapere", che Dario si aspettava.
Dario esce e raggiunge il bar sorridendo mentre ripercorre mentalmente la discussione. Sicuramente non lo richiameranno, e' stata una mattinata persa. Ma e' la prima volta che non prova frustrazione per un colloquio andato male. Anzi, prova orgoglio a pensare che in fondo in fondo, se e' vero che un lavoro e' necessario per portare a casa la pagnotta, e' pur vero che ad ognuno, anche se laureato e disoccupato, dovrebbe essere riconosciuta una certa dignita', e rivendicarla ad alta voce dovrebbe essere un diritto. Entra nel bar e sta per ordinare un panino con il prosciutto, con il sorriso in bocca. Si siede allo sgabellone davanti al banco, e la barista in divisa elegante gli si avvicina e gli sorride chiedendogli l'ordinazione "Prego?". Dario non riesce a resistere alla tentazione "Scusa... ma secondo te... il plurale di ciliegia si scrive con o senza la i?". Lei lo guarda sorpresa. Lui cerca invano di trattenere una grassa risata, a cui lei viene contagiata, senza capirne il motivo. Si ricompongono entrambi, lei si abbassa appoggiando i gomiti al banco e sussurrando (come se fosse un segreto) "sai che non lo so proprio?". E poi scoppiano di nuovo a ridere. Dario prende il panino e una coca e si siede al tavolo. I due evitano di guardarsi per non scoppiare di nuovo a ridere.

Questa storia e' un po' romanzata e imprecisa, considerato anche che sono passati quasi vent'anni. Ma gli episodi salienti sono tutti autentici. L'unica invenzione significativa e' il bar. E la barista.

6 commenti:

giovanna ha detto...

Straordinario Dario! clap clap clap :-)
..bastardodentro niente male! :-)
g

dario ha detto...

Ciao Giovanna
;-) grazie.

Agnes ha detto...

Le parole che non ti ho detto qualcuno le disse!

In quasi 10 anni di colloqui uno più indecente dell'altro, almeno la soddisfazione di sapere che qualcuno la giusta rivincita se l'è presa, anche se non sono io.

Complimenti!

dario ha detto...

Ciao, Agnes ;-)
Benvenuta nel mio blog.

Cavoli, 10 anni di colloqui?!

Ammetto di essermi dipinto un po' piu' sicuro di me di quanto non sia in realta'. Ma giuro che e' andata davvero cosi', con quella faccia di merda che sfoggiava il massimo della propria cultura costruita probabilmente sul Manuale delle Giovani Marmotte e sulle Spigolature della Settimana Enigmistica, ma che non andava al di la' del plurale di Curriculum.

Rivincita piu' che soddisfacente, anche se c'e' da constatare che probabilmente l'Esaminatrice mi ha dimenticato dopo tre secondi. Lei sara' sicuramente diventata una manager di successo mentre io sono qui a spalare codice C++.

Artemisia ha detto...

Davvero è andata così? Beh un po' ti ci vedo. Io non ci riuscirei mai.

dario ha detto...

Mmh... diciamo che l'ho dipinta tutta per autocelebrarmi e nutrire il mio gia' ben pasciuto ego. Ma non c'e' nessuna invenzione. Le cose che ci siamo detti sono quelle.