martedì 23 novembre 2010

Ma quanto pigliano in TV?

Ho letto un articolo su Yahoo Italia, di Grazia Cicciotti, intitolato "Quanto guadagnano i conduttori?".
Ci sono gli stipendi di alcuni conduttori TV. Simona Ventura, Pippo Baudo, Fabio Fazio, Giovanni Floris, Carlo Conti, Serena Dandini, Pupo, Massimo Giletti, Osvaldo Bevilacqua, Antonella Clerici. Tra questi, quello che piglia meno si fa 250mila euro all'anno.
Duecentocinquantamila.
Considerando il mio stipendio lordo, io ci metto piu' di sei anni.
Quello che piglia di piu' e' Fabio Fazio. Due milioni.
Quattro miliardi di lire.
All'anno.
Quasi cinquanta volte il mio RAL.
Lui, in un anno, prende quanto prendo io in cinquant'anni.

Mi ha stupito vederlo al top della classifica. La Ventura, la Clerici, Carlo Conti ad esempio mi sembrano molto piu' "personaggi", e in quanto tali meno sostituibili.

Ora, io non e' che voglio fare i soliti discorsi ritriti e chi predica bene razzola male... e da che pulpito viene la predica...
Mi viene da chiedermi, ma io, se mi offrissero quattro miliardi di lire all'anno, cosa farei? Probabilmente me li prenderei. Probabilmente ne darei un po' qua e un po' la alle persone a cui voglio bene. Probabilmente ne darei un po' ad associazioni in cui credo... chesso'... ad esempio Emergency.
Ma la maggior parte di quei soldi me li terrei. Ci comprerei i miei sogni. E poi, quando lo giudicherei sufficiente (probabilmente un paio d'anni), smetterei di lavorare, per dedicarmi ad attivita' che mi piacciono, e al diavolo la necessita' del giusto compenso.
Poi magari la sete di ricchezza nutrirebbe se stessa e, quand'anche fossi ricchissimo, giudicherei di volerne di piu', ma queste sono solo ipotesi speculative.

Tra i commenti all'articolo ce ne sono tre emblematici nella loro banalita', e per questo li riporto. Crazytrain064 dice:
Sì ma Fazio è "comunista" ahahahaha, come Santoro.......ahahahahahah! In miniera!
Champe_wwe:
Io non capisco perchè se uno è bravo e guadagna molto gli si vada contro a testa bassa. Capisco che la maggior parte abbia avuto fortuna, ma la componente bravura è assolutamente presente. Chi prende 500 euro al mese lo fa perche è facilmente sostituibile, chi ne prende molti di più non lo è altrettanto. Questa è la verità. Invece di andare contro a chi è bravo nel suo lavoro e fa di questo la sua fortuna economica, andiamo contro a chi ruba o comunque, non guadagna onestamente cio di cui vivere.
Dgambacurta invece commenta:
mi domando perche' proprio il giorno dopo in cui Fazio fa il record di ascolti per la rai con uno spettacolo originale lo si debba denigrare dicendo : "guardate Fazio quanto prende, vi sembra giusto?". Beh io dico guardate l'inquisito Verdini coordinatore del PdL quanto prende come parlamentare per smistare favori bancari ai suoi amichetti

Al primo risponderei che se la regola e' che i "comunisti" devono essere poveri, alla fine la razza si estinguerebbe presto. In realta' un vero "comunista" non vuole essere povero in un mondo di ricchi. Vuole invece che la ricchezza venga livellata per tutti, compresi quelli non "comunisti". Se uno propone una certa idea e fa un sacco di soldi per questo, cosa dovrebbe fare, secondo Crazytrain064? Rinunciare a quei soldi? Oppure cambiare opinione? Criticando il "comunista" perche' ha un superstipendio, equivarrebbe a giustificare il caso in cui un "non-comunista" percepisse altrettanto. Ipocrisia? Non e' l'ipocrisia argomento di discussione, ma il superstipendio.

Al secondo invece risponderei che si', Fazio si merita quello che piglia (e qui mi vengono in mente tutti i discorsi fatti sulla meritocrazia), nel senso che l'ambiente e' quello della libera concorrenza. Probabilmente io (come del resto il caso ben piu' sfigato dell'operaio della Fiat in cassa integrazione) non posso lamentarmi, perche' sono liberissimo di propormi in sua vece per lo stesso stipendio, ma perderei sicuramente il match. Cio' non toglie pero' che la constatazione che uno prenda due milioni (DUE MILIONI!) all'anno mentre ci sono intere famiglie ridotte alla fame dimostri inequivocabilmente una enorme ingiustizia sociale.

Secondo me il commento davvero interessante e' il terzo. Certo, Fazio fa il record di ascolti e questo giustifica un'ottima remunerazione, mentre Verdini fa i soldi che fa (tanti o pochi che siano) perche' e' stato nominato, senza il consenso popolare. Certo Fazio si ripaga ampiamente il proprio compenso in termini di entrata pubblicitaria per i suoi show, mentre Verdini...?
D'altra parte e' pur vero che un vero servizio sociale (che sia un prodotto televisivo o la partecipazione politica) non dovrebbe essere remunerato in funzione dell'entrata economica.

Quello che pero' mi pare degno di nota e' che un compenso cosi' elevato in realta' e' per sua natura suscettibile di critiche. Se uno predica la giustizia sociale e poi palesemente la sfrutta a suo vantaggio fa la figura dell'ipocrita.
Quello che uno dice, per me, ha un valore a prescindere da quanto piglia a finemese.
Se uno mi dicesse che Berlusconi e' un criminale io sarei d'accordo con lui. Se poi scoprissi che colui che me lo dice piglia un sacco di soldi per dirmelo, io sarei comunque d'accordo con il concetto che Berlusconi e' un criminale, ma comincerei a dubitare dell'onesta' di colui che me lo dice. Sono piu' portato a credere nell'onesta' intellettuale di colui che dice una cosa gratis piuttosto che di colui che si fa pagare fior di quattrini per dirla.

In conclusione se Fazio avesse percepito, diciamo, centomila euro, avrebbe comunque fatto una vita di gran lunga migliore della mia, ma ci avrebbe decisamente guadagnato in credibilita'.
Credo.

Che' poi, diciamocelo chiaro, se uno prende due milioni all'anno, dal punto di vista umano, non ha proprio nessuna scusante nei cofronti di un'altro invece non riesce a sfamare i proprio marmocchi.

martedì 16 novembre 2010

Tie'!



Tra Boeri, Pisapia, Onida, Sacerdoti, quello che mi piaceva di piu' e' quello che ha preso meno voti (Sacerdoti, solo 719). Anche Onida mi piaceva (9036 voti).
Sono molto contento che abbia vinto Pisapia (45.36%).
Ma soprattutto sono contento che Boeri (40.16%) abbia perso le primarie per la corsa a sindaco di Milano.
Scempio annunciato quello di Expo 2015, contestato dalle sinistre e da chi a Milano ha un minimo di buon senso. Ma Boeri, l'"archistar" entra a far parte nella squadra targata Moratti per il progetto. E il PD che fa? Tra i quattro sostiene proprio Boeri. Ma 'sta volta, ai milanesi, il PD non e' riuscito a farli fessi.


Ecco un paio di blog "di parte":
Alessandro Robecchi
Destra? Nein, Danke!

venerdì 12 novembre 2010

Il Cigno Nero


Ho da qualche giorno terminato di leggere Il Cigno Nero di Taleb.
L'ho trovato un po' noioso. Certamente interessante nei contenuti, ma lo stile e' davvero pesante.
Non c'e' mai un filone narrativo, nemmeno negli esempi. A parte un paio di casi, l'autore non si concede descrizioni di persone o situazioni. Diciamo che e' all'opposto di me, che tendo a farcire i miei discorsi con metafore o parabole anche del tutto artificiose e poco credibili, ma che mi aiutano a spiegarmi meglio. Suscita inoltre antipatia quando si esprime come colui che sa di avere la verita' in tasca, e che, di conseguenza, ritiene qualunque altra opinione sbagliata.

Sostanzialmente la tesi di Taleb si puo' ridurre cosi': Ci sono delle situazioni in cui non si sa come andranno le cose, ma si sa che la probabilita' di come possono andare e' limitata entro certe leggi. Ad esempio sappiamo che, lanciando la monetina, la probabilita' che esca testa e' uguale a quella che esca croce, per cui a seguito di un certo numero indefinito di lanci molto probabilmente testa sara' uscito circa la meta' delle volte (quindi il numero di vittorie sara' bilanciato dal numero di sconfitte). La probabilita' di vincere (o perdere) molto decresce sempre di piu', fino ad arrivare alla minima probabilita' del caso in cui escano tutte teste (o tutte croci).
Dopo aver constatato che con cento lanci di circa meta' delle volte esce testa, e l'altra meta' croce, anche se non fossi in grado di determinare la legge che governa il centounesimo lancio so che il contributo dell'esito di quel lancio sulla media sara' poco influente. Se invece di cento faccio mille lanci, il milleunesimo sara' ancora meno influente. Ed in ogni caso, piu' aumento il numero di lanci piu' mi avvicino alla media.
In altre situazioni invece e' piu' difficile misurare la probabilita' che avvenga un determinato evento, e nonostante cio', tale evento e' determinante nel calcolo della media. Se prendiamo ad esempio l'andamento dei mercati finanziari dal 1 gennaio al 10 settembre 2001 costuiremmo una legge che verrebbe totalmente soppiantata dall'evento finanziario (pur improbabile) scatenato dai fatti dell'11 settembre.
Per fare un altro esempio, se prendo 100 persone a caso e calcolo la media dei loro redditi, tale media puo' essere totalmente sovvertita dal 101' campione, se si tratta... chesso'... di Bill Gates. Non sarebbe la stessa cosa se considero la statura di 100 persone. Viene una media... diciamo... di 1.75m. Mentre Bill Gates puo' tranquillamente avere un reddito pari alla somma degli altri 100 campioni, anche prendendo l'uomo piu' alto del mondo certamente non puo' avere la statura paragonabile alla somma degli altri 100 campioni (175 metri). Di conseguenza, per alcuni eventi, come la monetina, come la statura delle persone eccetera, l'influenza di un evento sulla media e' piccola e decresce aumentando il numero di campioni. Per altre cose, come il reddito, come gli eventi storici e i mercati finanziari eccetera, invece, l'influenza di un nuovo evento puo' essere determinante sulla media indipendentemente dal numero di campioni precedenti che la costituiscono.

Una immagine descritta da Taleb e' "la legge del tacchino". Da quando  nasce fino all'ultimo giovedi' di novembre il tacchino e' abituato a vedersi nutrire e accudire ogni giorno da un amorevole e simpatico contadino. Piu' passa il tempo e piu' il nostro tacchino sarebbe portato a credere che la Storia si dimostra omogenea, e a prevedere con sempre piu' certezza che il giorno dopo sara' nutrito e accudito. Ogni nuovo giorno quella persona si comporta come la media, il che rafforza la convinzione del tacchino che il mondo sia modellato in quel modo. E invece arriva il giorno del rigrnaziamento e con lui l'evento imprevisto: quella stessa mano che l'ha nutrito lo sgozza e l'arrostisce. Da qui la sfiducia di Taleb nella Storia come maestra di vita.

Per Taleb esistono due mondi separati, uno che chiama Mediocristan e l'altro Estremistan. Nel primo stanno tutti gli eventi della vita che sono prevedibili, nel senso che non si sa' cosa succedera', ma esiste una legge conosciuta che governa la probabilita' di cosa puo' succedere. Nel secondo invece quelli che non hanno questa caratteristica. Quelle discipline altrettanto importanti nella vita nelle quali un singolo evento puo' essere determinante per sovvertire il totale delle altre osservazioni.
Taleb dice che la Storia e' governata da eventi che non si e' riusciti a prevedere perche' sono per loro natura imprevedibili, ma che nonostante tutto hanno un peso tremendamente alto. Il Nazismo, ad esempio. Il crollo delle Torri Gemelle, ad esempio.
A me pare che sia una visione un poco semplicistica. Io credo che per quanto l'attacco alle Torri Gemelle fosse imprevedibile (e quindi imprevisto) (ma lo fu davvero?), era piu' che prevedibile che il terrorismo islamico si ribellasse con un atto fortemente simbolico contro gli Stati Uniti, la grande potenza archetipo di quel sistema mondiale che mette in ginocchio gran parte del resto del mondo per riempirsi la pancia a dismisura. Ovviamente io penso che l'attacco dell'11 settembre sotto sotto sia dettato da altri interessi. Ma non era difficile capire che qualcosa era nell'aria. Una ribellione, in genere, e' supportata da una ingiustizia sociale.
E poi la funzione "educativa" della Storia non e', secondo me, la constatazione che una sequenza particolare di eventi storici generi degli effetti importanti, ma piuttosto la possibilita' di utilizzare la consapevolezza di certi eventi per la crescita morale della societa'. Avere una conoscenza approfondita del Nazismo come evento storico forse non ci protegge dall'avvento di un altro pazzo come Hitler che prenda il potere e trucidi milioni di persone nel tentativo di far sparire una razza dalla faccia della terra. Ma ci aiuta a catalogare come moralmente negativa quella esperienza, e quindi a capire da che parte stare se dovesse ripetersi una situazione analoga. E mi pare proprio che se certe cose stanno avvenendo adesso in Italia (e in Europa), e' proprio perche' la societa' ha perso la memoria storica di quegli avvenimenti. Cioe', non e' tanto stupefacente che esista un certo numero di persone razziste. Quello che mi lascia allibito e' come moltissime persone (qui al nord direi la maggioranza) non riescano a dare una ragionevole valutazione morale di quanto sta avvenendo e quindi non ne scaturisca una netta condanna. Verrebbe da chiedere loro "ma come fate ad accettarlo? Non ve lo ricordate il Nazismo e il Fascismo?". Evidentemente non se lo ricordano. In questo senso la coscienza della Storia e' importante.
Poi certo la Storia e' scritta dai vincitori. Se Hitler avesse vinto la seconda guerra mondiale ora l'assetto del mondo sarebbe totalmente differente. Forse io sarei stato educato da un sistema culturale totalmente diverso, e sarei magari convinto che gli ebrei sono una razza inferiore, che gli omosessuali sono delle aberrazioni della natura, che gli zingari siano degli emarginati da eliminare e altre amenita' di questo tipo (insomma, sarei simile ad un berlusconiano). Naturalmente non esiste una morale assoluta. La morale e', almeno in parte, il prodotto della cultura, che a sua volta dipende da come la societa' e' modellata dalla Storia. Se Hitler avesse vinto la guerra, forse la penserei in modo diverso. Ma ora sono qui. Hitler ha perso la guerra e (di conseguenza) la penso in questo modo.

Taleb ce l'ha in particolare con i trader finanziari (lui stesso fu trader). Perche' il loro compito e' consigliare l'investitore facendo proiezioni probabilistiche su quel che succedera' in futuro. Il rischio maggiore in un investimento sara' ricompensato con un maggiore guadagno se le cose vanno bene, mentre viceversa, se si accetta un guadagno minimo si ha il vantaggio di non essere costretti ad accettare un rischio grande. L'errore commesso dai trader (tutti i trader) e' di non prendere in considerazione (anche se e' piuttosto evidente) il fatto che il rischio finanziario appartiene all'Estremistan, mentre viene misurato dai trader con delle leggi gaussiane. In altre parole il trader dice che se non ci sono degli eventi ecclatanti che scombussolano ogni tipo di previsione, si puo' misurare il rischio e quindi determinare il guadagno. Il problema e' che gli eventi eccezionali avvengono, e il trader in questi casi si e' giocato i soldi dell'investitore, non i propri. Sarebbe come dire che domani probabilmente ci sara' il sole. E' evidente che si ha una relativa certezza se si omette di prendere in considerazione la possibilita' che domani piova.
Meglio sarebbe, allora, utilizzare leggi mandelbrotiane (che modellano meglio gli eventi dell'Estremistan), il che, in soldoni, significa ammettere di non saperne molto ma di descrivere la situazione per quella che e': cioe' che non si possono fare previsioni attendibili. Il che non significa non investire nell'Estremistan, ma di essere coscienti che tutto cio' che si investe puo' essere totalmente perso, a prescindere dal rischio calcolato da un sedicente trader. Taleb consiglia di investire in titoli sicuri (ad esempio i titoli di stato) la maggior parte dei propri soldi (si guadagna poco ma non si perde niente), e invece di investire nell'Estremistan una quantita' piccola di soldi che si e' disposti a perdere totalmente. Gia', perche' a fronte di eventi estremi (cigni neri) negativi che possono farci perdere tutto, ci sono cigni neri positivi che possono raddoppiare, decuplicare, centuplicare i nostri investimenti. Sempre che uno abbia soldi da investire nei mercati finanziari. E che voglia fare una cosa del genere. Va be'... non e' il mio caso, ma accetto la storia dei mercati finanziari come esempio.
Il trader descritto da Taleb somiglia un po' al mio datore di lavoro (ed in generale alla classe dirigente degli imprenditori). Mi e' sempre stato detto che l'imprenditore puo' godere di determinati benefit dalla societa' (maggiore ricchezza, vita di agi...) in cambio del rischio che deve correre. Viceversa il lavoratore non puo' arricchirsi a dismisura, ma non deve nemmeno sopportare il rischio di perdere tutto.
Salvo pero' il fatto che possono anche succedere degli imprevisti che, come dice la parola stessa, non sono previsti (e che, a dispetto di ogni incoerenza semantica, evidentemente non sono ritenuti parte del rischio corso dall'imprenditore). In quei casi l'imprenditore non ci vuole rimettere e scarica i costi della crisi sui lavoratori. In poche parole l'imprenditore ricco accetta "suo malgrado" il rischio accrescere il suo potere e la sua ricchezza nei periodi di vacche grasse, mentre nei periodi di vacche magre e' tutta la societa' che deve pagare perche' l'imprevisto non fa parte del rischio. Il datore di lavoro, dicevo sopra, deve sopportare il rischio di perdere tutto, ma in pratica, quando davvero questa eventualita' si palesa, a finire col culo per terra e' il lavoratore (e il mio datore di lavoro e' ancora in giro in maserati!). In caso di vacche magre, anzi, l'imprenditore deve essere addirittura favorito perche' sara' solo la sua sopravvivenza a garantire l'auspicata ripresa (e quindi il bene della societa' futura).

Il problema logico del discorso di Taleb, secondo me, e' che alla fine non si capisce bene come fare a riconoscere se una determinata disciplina e' di casa in Estremistan o in Mediocristan. Sicuramente cose che hanno delle leggi fissate e conosciute sono in Mediocristan. Per esempio il gioco d'azzardo al casino' ha regole fisse. Tutti sanno quanto si puo' vincere, e quindi esistono leggi precise che sanno consigliare se giocare oppure no. Per quanto poco probabile sia la vincita di un numero fisso alla roulette, quella probabilita' e' misurabile, e quindi la legge e' gaussiana.

foto rubata a Kyknoord
Ma nella vita non tutte le cose hanno leggi fissate e misurabili. Taleb dice che nel mondo naturale le cose sono di questo tipo, ma a me pare che e' solo una conoscienza limitata che ci induce a credere che sia cosi'. Per riprendere l'esempio della statura media, il discorso fatto sopra parte dal presupposto che sappiamo con certezza che non riusciremo mai ad avere una persona alta centosettantacinque metri. Io posso anche credere che sia cosi', ma in realta' nel momento in cui dovessimo trovare una persona cosi' alta dovremmo rivedere le regole. L'esempio e' estremo, ma in realta' e' proprio cosi' che avviene.
Il "cigno nero", e' un'espressione che denota un evento straordinario che sconvolge le regole. L'espressione deriva dal fatto che nel mondo conosciuto, prima della scoperta dell'Australia, i cigni erano solamente bianchi. In Australia sono stati scoperti dei cigni del tutto uguali a quelli europei, salvo il fatto che il loro piumaggio e' nero. Prima di questa scoperta il cigno nero aveva una probabilita' di esistenza pari a zero. Pari a quella di un uomo alto 175 metri. Ma poi si e' dovuto rivedere la regola per far rientrare questo evento nella conoscienza umana.
Detto fra noi, io credo veramente che non esista un uomo alto 175 metri, soprattutto perche' penso che non potrebbe passare inosservato. Ormai il mondo e' stato tutto scoperto, se esistesse un uomo del genere, qualcuno l'avrebbe visto e l'avrebbe riferito ai media. Il che equivale a dire che l'evento uomo-di-175-metri e' impossibile perche' l'intero insieme di dominio e' gia' conosciuto. Se pero' fossimo nei tempi in cui ampie porzioni di mappamondo erano ancora ricoperte dalla dicitura "hic sunt leones", non potremmo affatto escludere il caso (Johnatan Swift docet).
Ma qui nasce un interessante problema gnoseologico. Cioe', se la categoria consciuta come "cigno" e' descritta in modo sufficiente e necessario da un numero di caratteristiche tra cui il colore bianco del piumaggio, come si colloca la scoperta di un campione che ha tutte le caratteristiche richieste tranne quella pur necessaria del piumaggio di colore bianco? Perche' diciamo che il cigno nero sia in effetti un cigno? Perche' ha il collo lungo, le zampe palmate e il becco piatto?... ma se un giorno trovassimo un "coso" identico ad un cigno, ma con il collo corto, con le zampe non palmate e con il becco a punta, lo chiameremmo comunque "cigno"? La domanda e' "che cosa fa di un cigno un cigno?" (e che cosa ce lo fa riconoscere come tale?) Eppure un cigno nero lo riconosciamo come cigno, mentre una papera bianca (molto simile ad un cigno, salvo che ha il collo piu' corto) la riconosciamo immediatamente come un non-cigno.
In biologia esiste un metodo che discrimina una specie da un'altra (e quindi non discrimina tra razze diverse della stessa specie). Cioe', se due individui di sesso diverso sono in grado di generare figli fertili, i due individui appartengono alla stessa specie. Il cavallo e l'asino ad esempio, sono due speci diverse perche' anche se sono in grado di generare figli "ibridi" (il bardotto e il mulo), tali figli non sono fertili. Tuttavia questa (ragionevole ma artificiosa) regola non ha niente a che vedere con il problema gnoseologico. Se anche ammettessimo che il cigno bianco e quello nero appartenessero a speci diverse, comunque continueremmo a considerarli entrambi cigni. Perche'? Boh!

Taleb dice che il fatto di non avere conoscenza di un determinato evento non ci deve fare escludere la possibilita' che esso si realizzi. Cioe', non dovremmo escludere a priori l'esistenza del cigno nero prima di vederne uno (a questo punto sarebbe interessante chiedersi - perche' no? - se non esista anche un cigno blu o un cigno a pois, o un cigno con tre zampe o un cigno alto 175 metri). Il punto e' che nella vita quotidiana ci fa molto comodo riconoscere un cigno come tale, perche' se abbiamo fame cerchiamo di catturarlo e farlo arrosto. Confonderlo con uno scarpone ci farebbe correre il rischio di finire per mangiarci uno scarpone. Ci fa comodo sapere che un serpente e' un serpente, perche' se ci avviciniamo troppo ci morde e ci avvelena. Ci fa comodo sapere che un albero e' un albero perche' se tagliamo il tronco a fette possiamo accenderlo e ottenere un bel fuoco che ci fa comodo sapere che e' fuoco perche' ci riscalda (si provi a fare la stessa cosa con un cigno!)
Non so perche' un cigno e' un cigno indipendentemente dal colore delle sue piume. Ma fa niente. Se dovessi incontrarne uno nero potrei non distinguerlo come tale oppure potrei riconoscerlo come caso particolare, ma cio' non toglie che il concetto di cigno (insieme a tutti gli altri concetti) mi sia utile per poter vivere in questo mondo.

mercoledì 10 novembre 2010

Anche tu, Rubi?

Come ti chiami, bella?
tanto il mio nome già lo sai
è per questo che sei qui,
per non scordarlo mai.
Io ti posso regalare tutto quanto
tranne la felicità,
però ti prego non chiamarmi anche tu papà.
Tu che vita che farai
sai che proprio non mi importa,
perché domani,
quando uscirai da questa porta,
quanti anni avrai
e quanti te ne avrà rubati io
sono solo cazzi tuoi
che qui tanto è tutto mio.
Anche tu Ruby
tu come me, rubi
sì siamo entrambi due grandi
rubacuor
che io ti pago, Ruby
ma non m'appago, Ruby
ma tu puoi sognare in questa villa a Arcor
come sei alta, snella
che gamba lunga lunga!
adesso dai facciamo.... un po' di rumba
su dai racconta i tuoi casini
e dammi da bere, ho ancora sete
che andare coi più piccolini
mi fa sentire grande
son scherzi anche da prete.
Ma anche tu Ruby
tu come me, rubi
che sono bello, sono alto
e sono un rubacuor
che posso tutto, Ruby
io sono il capo, Ruby
e ti concedo di sognar
in questa villa a Arcor
ma anche tu, Ruby
tu come me, rubi
che sono bello, sono alto
e sono un rubacuor
che posso tutto, Ruby
io sono il capo, Ruby
e ti concedo di sognar
in questa villa a Arcor
e ti concedo di sognar
in questa villa a Arcor
e ti concedo di sognar
ma intanto dammi... il cuor

Omar Stellacci

giovedì 4 novembre 2010

Ancora sulla meritocrazia

A volte mi metto li' e comincio a pensare e ad elaborare teorie strampalate a titolo puramente speculativo (visto che poi non hanno impatto sulla realta' perche' si basano su ipotesi del tutto astratte, su utopie che e' difficile definirle anche come modelli della realta'). C'e' chi dice che avrei dovuto fare il filosofo (eheh!).
In effetti e' questa tendenza che sta alla base della ricorrente critica ai miei ragionamenti quando si dice che parlo troppo dei "massimi sistemi".

L'argomento di questo post, che ha appunto carattere astratto, e' un po' la continuazione della discussione nata nei commenti al post intitolato "meritocrazia", qua sotto.

Secondo un metodo meritocratico, la retribuzione di un lavoratore dovrebbe essere in qualche modo commisurata (anche se non letteralmente proporzionale) al merito dimostrato nello svolgimento del lavoro. La domanda e': che cosa si intende per merito?

Chiaramente lo scopo di una azienda e' quello di produrre di piu' (in termini di quantita' o di qualita', a seconda della strategia dell'azienda) ad un costo inferiore (in modo da abbassare i prezzi di vendita - e quindi sbaragliare la concorrenza - o da aumentare gli utili). Il merito quindi dovrebbe essere attribuito a chi, grazie al proprio lavoro, contribuisce all'aumento o al miglioramento della produzione, o alla dimunuzione dei costi.
Se il signor A e il signor B, dipendenti dell'azienda hanno lo stesso ruolo nella produzione del prodotto x, la produttivita' di quei lavoratori puo' essere facilmente misurata in numero di pezzi x prodotti.
Supponiamo che il lavoratore A produca mediamente in una giornata lavorativa, 10x, percependo uno stipendio di 100 euro. Se la logica e' meritocratica, il lavoratore B cerchera' di produrre un numero di pezzi maggiore di A, cosicche' possa ragionevolmente pretendere una retribuzione maggiore del minimo determinato dal lavoratore A. Diciamo quindi che B si organizzera' per produrre mediamente 11x. La logica retributiva e' meritocratica quindi otterra' uno stipendio maggiorato, diciamo di 1 euro: 101euro. Anche se l'aumento di stipendio non e' proporzionale all'aumento di produttivita', B e' contento perche' riesce a portare a casa un euro in piu'. Non avrebbe pero' senso, per lui, cercare di produrre 12x, perche' cio' non significherebbe comunque un ulteriore aumento di stipendio: e' facile misurare la quantita' di produzione comparativamente alla quantita' prodotta da qualcun altro, ma non c'e' una misurazione assoluta dell'aumento di produttivita'. In altre parole, non c'e' una risposta alla domanda: "quanto vale un aumento di 1x rispetto ad un dato base di 11x?".
Possiamo pero' dire che il lavoratore A, vedendo la correlazione tra l'aumento di stipendio di B maggiorato ed il suo aumento di produttivita', sara' invogliato a metterci un poco piu' di impegno per superare la produttivita' di B, e quindi cerchera' di produrre 12x. L'azienda gli aumentera' quindi lo stipendio, diciamo a 102euro. Di conseguenza B cerchera' di produrre 13x meritandosi uno stipendio di 103euro, eccetera, eccetera, eccetera...
Evidentemente questo processo potrebbe idealmente protrarsi all'infinito, sia dal punto di vista della produzione, sia da quello della retribuzione.
Ci sono pero' limitazioni evidenti a questa crescita. Il primo che mi viene in mente e' che se la giornata lavorativa e' di 8 ore e se ci vuole un certo tempo minimo t a produrre ogni pezzo x, indipendentemente dall'abilita' e dall'impegno del lavoratore che lo produce, il numero massimo di pezzi al giorno sara' esattamente 8ore/t. Un'altra limitazione e' l'esigenza dell'azienda. Se i lavoratori addetti alla produzione di x producessero un numero di pezzi maggiore di quanti ne servano all'azienda ci potrebbe essere un problema di sovrapproduzione, i cui costi graverebbero sulle spalle dell'azienda. In soldoni, finche' all'azienda occorre una produzione di 100x al giorno, un dipendente in grado di produrre 150x al giorno non costituisce un vantaggio rispetto ad uno che ne puo' produrre esattamente 100.

C'e' poi il caso in cui nell'azienda non esistono due lavoratori che abbiano lo stesso ruolo, o un ruolo comparabile. Una situazione in cui A producesse 100x e B producesse 200y, puo' significare che per produrre y ci si impiega la meta' del tempo per produrre x, ma puo' anche significare che il lavoratore B si impegna di piu' e dia risultati doppi. Oppure puo' anche significare che A si sia impegnato di piu' di B, se la produzione di y richiede molto piu' del doppio dell'impegno per produrre x.
I beni x e y sembrerebbero non confrontabili, ma non avendo una misura assoluta della pdoruttivita', l'unico modo di valutarla e' comparativo.
In termini piu' formali,
s=f(x)
(cioe' lo stipendio e' funzione del numero di pezzi). Dire che siamo in un sistema meritocratico equivale a dire che la funzione f e' monotona crescente, cioe', all'aumentare della produttivita' aumenta lo stipendio. Ma questa caratteristica non e' sufficiente a mettere in relazione lo stipendio s con x in un dato istante, poiche' sappiamo che cresce ma non sappiamo in che modo. In altre parole, uno stipendio di 100 euro per la produzione di 10x potrebbe essere tanto o poco, se non si ha un termine di paragone.

Un metodo per recuperare un termine di paragone non esplicito potrebbe essere quello di misurare il valore del prodotto x e paragonarlo con quello del prodotto y, indipendentemente dall'impegno necessario per produrre l'uno o l'altro. Se il prodotto x vale il doppio del prodotto y, il lavoratore A, con i suoi 100x, produce lo stesso valore del lavoratore B con i suoi 200y, quindi 201y costituirebbe un surplus di merito per B, mentre 101x uno per A. Questo pero' a me pare ingiusto. Mi spiego con un esempio stupido: Per ogni automobile a 3 porte l'azienda automobilistica deve produrre un portellone e due portiere. Verrebbe da concludere che il valore di una portiera e' la meta' di quella di un portellone. Eppure non ci vuole meno impegno per produrla (anzi, casomai l'inverso!). Nondimeno la casa automobilistica dovra' commercializzare automobili con tutte le porte comprese nel prezzo, per cui l'azienda dovra' adeguarsi a produrre due portiere e un portellone, anche se sembrerebbe di gran lunga meno conveniente che produrre tre portelloni. Sarebbe assurdo immaginare di pagare di meno l'operaio che produce la portiera dell'operaio che produce il portellone.
In altre parole, il metodo che valuta il valore di un lavoratore in base al cumulo del valore di cio' che produce materialmente sembra poco convincente.
Eppure spesso avviene cosi' nella vita reale. Io, ad esempio, lavoro nell'ufficio di ricerca e sviluppo, e spesso, insieme ai colleghi di questo ufficio, sono additato come colui che vive sulle spalle di chi fa invece la vera produzione. Quelli dell'ufficio che produce il prodotto finito hanno la sensazione che e' proprio grazie al loro lavoro che l'azienda ottiene l'utile che serve per pagare gli stipendi di tutti, compreso il mio. Quello che invece fa programmi nell'ufficio di ricerca e sviluppo non ha un diretto riscontro sul valore del proprio lavoro da poter sbandierare al momento opportuno.

Un metodo secondo me un poco piu' ragionevole per valutare un lavoratore indipendentemente dalla presenza in azienda di un altro lavoratore che svolge lo stesso compito puo' essere quello di utilizzare come termine di confronto la produttivita' dello stesso lavoratore nello storico.
Questo e' esattamente quello che, almeno a parole, tentano di fare nell'azienda per la quale lavoro (mmh... in realta' ad oggi non tentano piu' nemmeno di convincerci che sia questo: richiedono spudoratamente piu' impegno rifiutando qualunque disponibilita' ad adeguare lo stipendio, con la scusa della crisi economica - in pratica, utilizzano un metro diverso: quello che definisco il "mercato delle vacche", che descrivero' piu' sotto).
Mi spiego meglio.
Il lavoratore A produce una media di 100x al giorno nell'anno 2000, 100x nel 2001, 100x nel 2002 e cosi' via fino al 2009. Nel 2010 il lavoratore A produce 120x al giorno. Significa che nel 2010 il lavoratore A si e' impegnato di piu', e quindi si merita un certo premio: un aumento di stipendio. Questo sembrerebbe meritocratico, perche' il merito di aver prodotto 20x in piu' al giorno viene riconosciuto e ricompensato. A, in altre parole, viene incentivato a produrre di piu'. O, vista dal punto di vista opposto, l'azienda viene invogliata ad aumentare lo stipendio.
Ma andiamo avanti. Anche nel 2011 A produrra' 120x al giorno, perche' avra' quello stipendio. Pero' nell'anno 2012 A forse tornera' a produrre solo 100x, ricadendo in un certo lassismo proprio della sua personalita'. A rigore il suo stipendio dovrebbe essere ridotto allo stipendio che percepiva dal 2000 al 2009 (almeno allo stesso valore come potere d'acquisto). Questo comporta certe interpretazioni un poco deviate, rispetto lo scopo del meccanismo.
- il lavoratore dice: se io produco 100x oggi, ma posso produrre 120x impegnandomi di piu', mi conviene produrre 101x, il che costituisce un aumento di produttivita' ma consente un ulteriore aumento in futuro, corrispondente ad un ulteriore aumento di impegno.
- il datore di lavoro dice: l'anno scorso A ha prodotto 100x. Quest'anno ha prodotto 120x, senza che io gli dessi un aumento di stipendio. Vuol dire che l'anno scorso A non si e' impegnato al massimo, non meritandosi quindi lo stipendio. Ora che l'ho scoperto, non sarebbe invece da punire, piuttosto che premiare?
- il datore di lavoro dice: l'anno scorso A ha prodotto 100x. Quest'anno ha dimostrato di poter produrre 120x a questo stipendio, quindi se gli aumentassi lo stipendio, sarebbe portato ad interrompere il miglioramento delle sue prestazioni, poiche' ha ottenuto l'aumento che desiderava. Se invece gli lascio invariato lo stipendio, lui dovra' dimostrare di essere capace di produrre di piu' l'anno prossimo. Se il lavoratore A l'anno prossimo tornasse a produrre 100x - visto che non ha ottenuto un aumento di stipendio - significherebbe che e' stato sbagliato dargli un aumento visto che non e' disposto ad impegnarsi di piu' costantemente, mentre se l'anno prossimo produce 120x significa che il suo impegno non e' correlato all'aumento di stipendio e di conseguenza, ancora una volta, ho fatto bene a non darglielo.
- Con questo sistema, al lavoratore non conviene mai dare il massimo, perche' se da' il massimo ottiene un aumento di stipendio massimo, dopodiche' dovra' continuare a dare il massimo per mantenere quello stipendio, senza speranza di un ulteriore aumento (visto che piu' del massimo non puo' dare).
D'altra parte al datore di lavoro conviene non dare mai un aumento massimo perche' esso costituirebbe un premio insuperabile e quindi vanificherebbe la richiesta di un ulteriore impegno da parte del lavoratore.
- Se il datore di lavoro mi richiedesse un maggiore impegno, io gli risponderei che per lo stipendio che mi da' questo e' il massimo che posso dare. Ovviamente risponderei cosi', perche' la mia disponibilita' ad impegnarmi di piu' a questo stipendio svelerebbe una inadeguatezza del mio impegno attuale. Dovrei quindi dare di piu' a questo stipendio, il che svela che non mi merito un aumento.
- D'altra parte se il datore di lavoro mi corrispondesse un aumento di stipendio, come incentivo, prima di richiedermi un aumento di impegno, io dedurrei che finalmente lui ha capito che il mio impegno attuale non era sufficientemente retribuito, e cio' non sarebbe di alcun incentivo a produrre di piu'.
Quel che realmente e' successo nella mia azienda e' che si e' sbandierato un criterio meritocratico, promettendo aumenti per il raggiungimento di determinati obiettivi. Quando gli obiettivi sono stati raggiunti (prima di qualunque aumento retributivo) il datore di lavoro ha dedotto che lo stipendio che si percepiva era sufficiente per il raggiungimento di quegli obiettivi, e quindi non avrebbe avuto senso aumentare gli stipendi. Ora i lavoratori se la sono pigliata in quel posto, perche' se cercano di dare di piu' senza un aumento di stipendio, dimostrano che non e' necessario dare loro un aumento di stipendio per ottenere di piu', se invece si rilassano e si adeguano ad impegnarsi di meno, dimostrano che la loro produttivita' cala, e quindi non si meritano nemmeno lo stipendio che hanno.
Contorto? Eppure da noi e' esattamente cosi' che funziona. Meritocrazia o no, sono riusciti a trovare il modo di non adeguare il mio stipendio neanche agli scatti del CCNL.
Il fatto e' che a me piace dare il massimo e fare le cose nel modo migliore, perche' trovo che sia piu' stimolante che perdere tempo. Quindi non ha senso rapportare il mio impegno alla mia retribuzione.

Un metodo che invece sembra funzionare in ogni caso e' quello del "mercato delle vacche". Si tratta dell'applicazione alla carne umana della Sacra Legge del Mercato: la Legge della Domanda e dell'Offerta.
Chi vende un bene materiale qualsiasi tendera' a diminuirne il prezzo unitario se ha da smerciarne una gran quantita' ma non ci sono molti acquirenti. Facendo cosi' riuscira' ad aumentare la domanda (il prezzo inferiore rende il bene piu' attraente), e non rischiera' di rimanere con molto invenduto. Il guadagno unitario sara' inferiore, ma quello totale superiore. Se invece chi vende dispone di una piccola quantita' di quel bene a fronte di una domanda molto alta, tendera' ad aumentarne il prezzo, poiche' riuscira' comunque a piazzare tutto, ottenendone un utile maggiore.
Questo metodo per assegnare un prezzo ad un bene e' secondo me eticamente discutibile, perche' alla fine il prezzo non ha niente a che vedere con il valore. Se io devo acquistare un bene per me necessario che pero' ha un basso valore intrinseco (cioe' produrlo e' costato poco), io saro' disposto a sborsare qualunque cifra per ottenere quel bene. Viceversa, l'abbondanza di disponibilita' sul mercato di un bene che ha un alto valore intrinseco (cioe' e' costato molto per produrlo) puo' stritolare il guadagno di chi l'ha prodotto. Anche se eticamente discutibile, tutto questo puo' anche essere ragionevole per un bene materiale qualsiasi. Ma se stiamo parlando del lavoratore, che incidentalmente e' anche un essere umano, mi pare un poco demoralizzante.
Secondo questo schema la soddisfazione del lavoratore nel proprio stipendio e' valutata in base al mercato del lavoro. Se io svolgessi un compito che solo una ristrettissima quantita' di persone al mondo e' capace di svolgere, me la potrei scialare con uno stipendio altissimo. Viceversa se molti sono in grado di compiere il mio lavoro, e per giunta parecchi di loro sono in cerca di occupazione, quelli saranno portati ad offrirsi per uno stipendio inferiore al mio. Io saro' quindi meno competittivo.
Questo e' terribile per due ragioni. La prima e' che per quanto io sia bravo, se l'azienda non richiede questa qualita', io dovro' accontentarmi di una retribuzione inferiore alle mie capacita'. Se ci fosse una adeguata organizzazione del mio lavoro, io potrei produrre ben piu' di quanto produco ora, e quindi far fruttare la mia professionalita' meglio. Potrei costituire una ricchezza maggiore per l'azienda e quindi ottenere una retribuzione migliore. Ma non e' cosi'.
L'altra ragione e' che sono le fluttuazioni del mercato del lavoro e non il lavoro stesso a determinare il valore bene prodotto, e quindi, se anche fosse vero che in un determinato istante fissato del tempo una retribuzione migliore e' determinata da un impegno maggiore, a fronte di un periodo globalmente negativo non c'e' impegno che tenga.