mercoledì 19 dicembre 2012

Ultimo rinnovo

Mercoledi' scorso sono andato con mia moglie, alla Questura, a rinnovare il suo permesso di soggiorno.
E' l'ultima volta, perche' dopo tre rinnovi annuali, uno biennale e uno quinquennale, stavolta ha validita' indeterminata, o almeno, come dice il poliziotto addetto al rilascio, finche' non cambieranno in modo significativo i lineamenti facciali, visto che sul documento c'e' una foto.

Come era avvenuto per i precedenti rinnovi, l'operazione ha messo a dura prova il nostro sistema nervoso.
Il rinnovo precedente scadeva il 3 ottobre scorso. Un paio di giorni prima siamo dunque scesi in quel girone infernale a chiedere informazioni sulle modalita' e su quali documenti bisognasse presentare. Un po' perche' non ci ricordavamo esattamente quel che avevamo fatto cinque anni fa', un po' perche' le regole le cambiano di volta in volta in modo bizzarro e imprevedibile. Naturalmente, a riguardo, non c'e' alcuna informazione online, e al telefono, come avevamo constatato in altre occasioni, non c'e' da fidarsi.
Per la verita', all'ingresso della questura ci sarebbe un piantone a cui chiedere ragguagli, ma anche qui regna l'incertezza: ci e' stato dato un foglio fotocopiato su cui c'era un elenco di documenti da presentare per richiedere il rilascio. Per fortuna ho controllato, perche' noi avevamo bisogno di un rinnovo, non di un rilascio. Il piantone, colto alla sprovvista, ci ha detto che non era informato sul rinnovo, e che quindi avremmo dovuto chiedere allo sportello dell'accettazione delle domande o a quello del rilascio dei documenti, laggiu', nella stanza dei permessi di soggiorno, in fondo a sinistra.

Detta cosi' sembra ragionevole, ma la stanza dei permessi di soggiorno (sempre quella, da dieci anni a questa parte) non e' un posto dove uno vorrebbe andare. Si tratta di un locale di circa sei metri per cinque. I muri sono per meta' grigi e per meta' bianchi. Visibilmente sporche entrambe le colorazioni. Su un lato c'e' una finestra, su uno la porta, su un terzo c'e' un'apertura di circa tre metri, oltre la quale c'e' un piccolo spazio e la vetrata con i tre sportelli. Uno per i ritiri, due per l'accettazione, anche se uno dei due e' sempre chiuso. La regola sarebbe che la gente aspetta il proprio turno, per questioni di privacy, prima di quello spazio.

Quando arrivi ti danno un biglietto con un numero, come dal salumiere. Perche', come dal salumiere, in genere chiamano i numeri progressivi per l'accesso agli sportelli. Come fare a distinguere se il numero si riferisce all'accettazione o al ritiro? Facile, uno dei due sportelli in genere e' chiuso. Solitamente ti capita un biglietto piu' o meno di cinquanta-cento numeri maggiore di quello che stanno chiamando. Sempre che riesci a capire quale numero stiano chiamando perche', a differenza del salumiere, alla questura non hanno mai pensato di mettere un display che indichi il numero attualmente servito, quindi tutti, per cercare di carpire la voce che arriva flebile dagli sportelli, si accalcano proprio in quel piccolo spazio che serve a garantire la privacy.

Quelli che sono li' ad aspettare non sono pochi: se il tuo numero e' cinquanta oltre il numero chiamato, significa che come minimo ci sono cinquanta persone prima di te. In realta' pero' e' molto piu' affollato perche', per il ritiro dei permessi di soggiorno, in genere ci si portano le mogli, i mariti, i figli, i genitori, visto che il permesso si estende per ricongiungimenti famigliari. Morale, si sta come in metropolitana nell'ora di punta alla stazione centrale.
Per fortuna ci sono delle sedie. Un po' malconce, per la verita', ma espletano adeguatamente la loro funzione di sostenere i sederi delle persone stanche.
Le ho contate.
Dodici.

Se c'e' una cosa bella, in questa esperienza, e' il contatto con la varieta' umana. La maggior parte delle persone, di colore, parlano in quel francese nasale che subito richiama l'Africa subsahariana, o in italiano ma con quell'accento. Molti sono cinesi, piu' riservati. Pochi, piu' spaesati, sudamericani, indiani, pakistani, mahgrebini. Qualcuno poi ha l'aria un po' freackettona e parla inglese. Sembrano britannici, ma non avrebbe senso, visto che per loro c'e' Schengen.
Molta varieta' di stati d'animo, anche. Ci sono le persone che si mettono li' in un angolino e tengono la testa bassa, alcuni signori anziani molto dignitosi, pur nella situazione umiliante in cui si ritrovano. Alcuni ragazzi sono visibilmente incazzati, altri per passare il tempo si raccontano storie, le mamme si scambiano consigli sulle varie malattie dei loro bimbi, i teenager con la testa abbassata sul loro smart phone... L'altro giorno c'era un anziano signore che cercava di "dirigere il traffico" dei numeri, portando un po' d'allegria "Tu che numero hai? E no, i dispari li fanno domani, puoi andare a casa". Qualcuno reagisce male ai suoi scherzi, ma appena si rende conto che e' solo un modo per alleggerire la tensione cambia atteggiamento.

Morale, quel giorno dovevamo solo chiedere informazioni, ma c'era talmente tanta gente prima di noi che, dopo cinque minuti, abbiamo desistito per tornare qualche giorno dopo.
Qest'altra volta fummo piu' fortunati. Dopo un paio d'ore d'attesa finalmente il poliziotto all'accettazione chiama il nostro numero. Ci dice che abbiamo fatto la fila nello sportello sbagliato, perche' le richieste di informazioni si fanno allo sportello dei ritiri, dove chiamano per nome coloro che hanno l'appuntamento (ma noi che ne sapevamo? ci hanno dato un numero e abbiamo atteso che chiamassero quel numero!). Noi, senza appuntamento, saremmo passati senza fare la coda.
Ci danno l'elenco dei documenti da portare, tra cui quattro fototessera, il certificato di residenza mio, la carta d'identita', o l'autocertificazione sostitutiva, il certificato di residenza di R, o autocertificazione sostitutiva, il certificato di matrimonio, o autocertificazione sostitutiva.
Per "fare prima" ci prendono il nome e ci danno un appuntamento.

Ci presentiamo il giorno dell'appuntamento e ci accalchiamo agli sportelli all'ora fissata, per non lasciarci scappare il nostro turno, quando ci chiameranno. Naturalmente, essendo tutti migranti, hanno nomi che difficilmente vengono pronunciati nel modo corretto, il che rende la situazione gia' di per se' surreale, ancora piu' caotica. Con qualche ora di ritardo rispetto all'appuntamento, finalmente tocca a noi.
Carta d'identita': ce l'ho. Per essere sicuri facciamo anche un'autocertificazione: compili questo foglio.
Passaporto della signora: ce l'ha. E no... sa'... noi non siamo autorizzati a fare fotocopie. Abbiamo anche la fotocopia del passaporto.
Certificato di residenza della signora: non ce l'ha - autocertificazione sostitutiva.
Certificato di matrimonio: eccolo. E no! questo non e' valido - scade dopo cinque anni dal rilascio e questo e' stato rilasciato 9 anni fa. Altra autocertificazione.
Marca da bollo: Eccola.
Il poliziotto (questo gentile, la stronza sta allo sportello dei ritiri) controlla e ricontrolla. Sembra ci sia tutto. Domanda accettata. Ci spiega che, siccome ci sono le autocertificazioni da controllare ci vorra' un po' di piu' del solito. Non meno di un mese.

Nel frattempo, charamente, R rimane scoperta del permesso di soggiorno. C'e' un ambiguo biglietto che attesta che la domanda e' stata presentata: dovrebbe sostituirlo, ma il condizionale e' d'obbligo.

Dopo un mese torniamo. il solito numero del salumiere. Il solito assembramento di varia umanita'. Ci vorra' ancora un paio d'ore. Chiedo al piantone, all'ingresso, se c'e' modo di verificare se il documento e' pronto senza dover fare la fila. Mi risponde che non e' mica Gesu' Cristo da sapere tutto a memoria (certo non mi aspettavo che sapesse a memoria lo stato di tutte le pratiche, ma non ho commentato). Un altro paio d'ore e tocca a noi.
Ai ritiri c'e' la stronza dell'altra volta, ma, a noi, ci tratta bene - tipo da essere umano a essere umano, visto che si accorge immediatamente che R e' cittadina USA, non certo un migrante qualsiasi di un "paese sottosviluppato" su cui poter sfogare liberamente tutta l'aggressivita' repressa (del resto, e' per questo che fa la poliziotta, no?). Noto, accanto alla sua postazione, il calendario di Criminal Minds. Il mese scorso c'era la pagina di NCIS Los Angeles.
Il permesso di soggiorno non e' ancora pronto, ci vorra' un'altra settimana, piu' o meno, potete chiamare a questo numero verde che vi segno sulla ricevuta.
Mi viene in mente di suggerire al piantone come assurgere al ruolo di Gesu' Cristo, tramite distribuzione di questo prezioso tesoro, ma penso che sia meglio andarsene da li' senza dire niente.

Naturalmente la settimana successiva il documento non e' ancora pronto - mi dicono al telefono.

Richiamo dopo un'altra settimana. Stavolta e' pronto, possiamo andare a ritirarlo.
Per ritirarlo c'e' ancora una volta da fare un paio d'ore di coda. Stavolta c'e' un altro poliziotto, piu' gentile.
Oggi ci sono solo i ritiri, ma le pratiche vengono distribuite, chissa' perche', dallo sportello delle accettazioni, cosa che confonde un po'.
Ecco. E' il nostro turno. Quando consegnamo la ricevuta, il poliziotto si alza e comincia a cercare negli innumerevoli schedari. Incrociamo le dita... Tratteniamo il fiato... Il rumore della folla, alle nostre spalle, sembra farsi lontanissimo... Estrae un foglio da uno schedario su cui c'e' scritto S (evito di chiedermi perche', ma rimango confuso, visto che il cognome di R comincia per R e il mio per C). Lo controlla e lo confronta con i dati sulla ricevuta. Confronta anche la foto con la faccia di R e alla fine, grazie al cielo, ce lo consegna. Tutto in regola. Arrivederci. Mai piu', spero.

In totale, siamo andati alla questura per cinque volte. Quattro di queste abbiamo atteso il nostro turno per ben piu' di due ore, per un totale di oltre otto ore spese in una stanzetta cinque per sei in compagnia di un centinaio di altre persone.
L'ufficio immigrazione della questura di Lecco e' aperto solo al lunedi' mattina (tra le 9 e le 13) e il mercoledi' pomeriggio (tra le 15 e le 17). Ho dovuto quindi prendere cinque mezze giornate di ferie per poterci andare.

Nel frattempo, mentre il permesso di soggiorno era in gestazione, abbiamo ricevuto per posta dal comune la richiesta di presentarci con il nuovo permesso, per rinnovare anche la dichiarazione di residenza, che viene a decadere in concomitanza con la scadenza del permesso vecchio. Al comune ci hanno detto che, dopo averci inviato la richiesta, hanno ricevuto la telefonata della questura per accertare l'autocertificazione della residenza di R. Avremmo quindi dovuto tornare in municipio con il nuovo permesso nonappena fosse pronto.
Mi sono chiesto come facesse l'impiegata comunale ad attestare che R fosse residente, visto che il suo stato di residenza era decaduto. Mi sono anche chiesto come la questura potesse pretendere che l'impiegata comunale lo facesse. A rigore, uno non puo' rinnovare il permesso di soggiorno se non ha la residenza ne' puo' rinnovare la residenza se non ha il permesso di soggiorno?!?

Questa vicenda mi fa concludere, ancora una volta, che la strada che il sistema Italia deve ancora percorrere e' molto lunga. E che non si sia accorciata nemmeno di un centimetro negli ultimi dieci anni.
Ci sono alcune considerazioni che mi paiono piuttosto ovvie:
- Se la questura puo' contattare il comune, perche' mai dovremmo portare alla questura un certificato di residenza mio, uno di mia moglie e un certificato di matrimonio, visto che questi documenti sono rilasciati proprio dal comune?
- Se il comune e' in contatto con la questura, perche' si deve portare il permesso di soggiorno al comune per poter rinnovare la residenza?
- Visto che, a parte le foto e la marca da bollo, tutti i documenti presentati sono autocertificazioni che hanno dovuto essere verificati, perche' non si poteva fare tutto per via telefonica o addirittura telematica? La marca da bollo e la foto sarebbero state l'unico motivo per recarsi in questura, e tutto si sarebbe potuto risolvere molto piu' sbrigativamente.
- La maggior parte del tempo passato in questura era dovuto all'incomprensione dell'elenco dei documenti che ognuno doveva presentare per l'accettazione. Molti erano mandata via perche' non avevano questo o quel documento. Per esempio, uno studente ha portato la richiesta di ammissione ai corsi e non il certificato d'iscrizione alla scuola. Pochi semplici controlli incrociati tra le varie autorita' ridurrebbero di gran lunga la possibilita' di errore da parte di chi deve presentare domanda.

Il sospetto che tutto questo sia dolosamente rivolto alla complicazione della burocrazia per rendere le cose difficili ai i migranti e' forte.

Per fortuna, per noi, tutto questo appartiene al passato. Mi manchera' un po' tutta questa umanita', che, da questa parte della vetrata, fino al momento del contatto ravvicinato col poliziotto allo sportello, realizza un modello di uguaglianza difficile da vedere altrove, tra i cittadini italiani. Bianco, nero, povero, ricco, maschio, femmina, giovane, vecchio: devi solo restare li' ad aspettare il tuo turno, e nel frattempo ti rimane solo da solidarizzare con gli altri. Perche' in fondo si e' tutti sulla stessa barca.

lunedì 10 dicembre 2012

Tasse

L'altro giorno sono andato al CAAF a farmi fare il calcolo della seconda rata dell'IMU.
Ammmetto che ero un po' preoccupato, ma alla fine si e' rivelata piu' leggera del previsto. 35 euro. Piu' 35 che avevo speso per la prima rata, viene un totale di molto inferiore a quanto pagavo, per la stessa casa, di ICI. Non voglio entrare in merito sulla bonta' di questa tassa: mi piaceva pagare l'ICI perche', sapendo che finiva nelle casse dei comuni, ero sicuro che sosteneva i servizi locali. L'IMU invece e' tutt'altra faccenda.
Magari sono stato fortunato. Gia', perche' alla fine e' questione di fortuna, visto che il calcolo e' dato da logiche imprevedibili.
L'IMU quindi e' una tassa che pesa sul portafoglio, visto che l'anno scorso non si pagava. Pero' non e' che sia 'sto gran dramma.
Naturalmente non e' l'unica tassa che pesa nel bilancio famigliare. Ma non e' che io riesca davvero a percepire la differenza. Sono lavoratore dipendente, quindi il mio stipendio e' tassato alla fonte. Il netto in busta e' sempre uguale (preoccupantemente uguale da quasi dieci anni che lavoro qui - nemmeno i miseri aumenti sindacali l'hanno scalfito). Magari l'aumento delle tasse riguarda altre forme contrattuali, e quindi un'altra volta sono fortunato. Magari e' il datore di lavoro che deve rosicchiare il proprio profitto, il che non sarebbe nemmeno sbagliato, visto che e' un privilegiato. Ma, se questo fosse vero, significherebbe che il governo Monti sta facendo una politica di redistribuzione alla classe lavoratrice. Sono pronto a ricredermi, ma non mi pare sia proprio cosi'.
Forse l'aumento delle tasse riguarda il capitale che viene reinvestito nelle aziende, o in qualche modo limitano gli investimenti per le nuove attivita'. Questo sarebbe gravissimo, perche' sarebbe una casua di aumento ulteriore della disoccupazione. Non mi pare sia cosi', ma boh, non lo so. Comunque anche questo millantato aumento di tassazione sul capitale da reinvestire non e' una voce che io percepisco direttamente nelle mie tasche.
Sara' che il fisco pesa di piu' sulle piccole aziende o sulle aziende individuali. Sbagliero', credo pero' che la crisi che si abbatte su quelle aziende sia dovuta in primis alla perdita di potere d'acquisto dei salari, che riduce il mercato dei beni da loro prodotti, infatti mi pare che chi produce beni di prima necessita' continui a sopravvivere.
E l'IVA? Dove la mettiamo l'IVA? Mi pare che tutte le parti sociali si scaglino contro l'aumento di questa tassa. E io non voglio fare un ragionamento di principio sulla furbizia di far pagare al consumatore una tassa sul consumo quando il problema e' che i consumi si stanno contraendo. Ma, facendo quattro conti, anche un punto percentuale di IVA non mi pare una cosa cosi' insostenibile. Dunque. Vediamo. Supponiamo che voglio comprare una piccola utilitaria che costa, chiavi in mano, 10mila euro. Se aumentassimo di un punto l'IVA dovrei pagare quell'auto 10100 euro. Cento euro in piu', quando ne sto sborsando diecimila. Il pane costa sui 3 euro al kilo. Con l'IVA aumentata costerebbe tre centesimi in piu'. Davvero la gente non se lo puo' permettere?
E poi ci sono le accise sul carburante. In effetti il carburante e' una delle voci principali del mio bilancio. Pero' non riesco a quantificare quanto di questo aumento sia dovuto all'aumento del costo del petrolio, quanto ai giochini sadici delle compagnie petrolifere e di quelle di distribuzione del carburante e quanto all'aumento delle tasse.

In buona sostanza posso concludere che non mi pare che l'aumento della pressione fiscale sia veramente cio' che caratterizza questa crisi.
Il problema piuttosto e' l'insicurezza nel futuro. La mia unica fonte di reddito e' lo stipendio. Se perdo il lavoro, mi ritrovo in mezzo a una strada. Anche prima era cosi', ma prima avevo la speranza di trovare un altro lavoro, adesso non si trova niente. E lo dico adesso dopo che sono in cerca da anni.
E quindi, siccome non si trova lavoro, capita che molti al mio livello siano a spasso. Il che viene a dire che il mio valore sul mercato si riduce, visto che sono rimpiazzabile facilmente. E quindi il mio stipendio rimane tale senza possibilita' di aumentare. E siccome il costo della vita aumenta, il potere d'acquisto del mio stipendio diminuisce. Ci sarebbe da chiedersi perche', se la legge della domanda e dell'offerta vale sul mercato del lavoro, non valga anche sulle merci. Cioe', se molti sono nelle mie condizioni vuol dire che mediamente la gente compra meno. E quindi il prezzo delle merci dovrebbe diminuire.
Credo quindi che non sia vero che il potere d'acquisto di tutti stia diminuendo, ma solo quello del ceto medio. I ricchi sono piu' ricchi e quindi spendono di piu'.

E poi ci sono i servizi. Li' si' che lo stato diventa avaro.
La realta' e' che, almeno nel mio caso, non c'e' un percepibile aumento delle tasse, ma una notevole diminuzione della qualita' a fronte di un'aumento del prezzo dei servizi. La sanita' funziona sempre meno, la scuola altrettanto. Le pensioni si tagliano. I comuni si impoveriscono.
Invece che lamentarci per le tasse troppo alte, dovremmo invece lamentarci per i servizi non all'altezza. E per una inesistente politica del lavoro, che favorisce l'azienda sfavorendo il lavoratore.

venerdì 30 novembre 2012

Ballottaggio interiore


Ero, e sono ancora, convinto che se anche è discutibile l'adagio secondo cui il cavallo vincente non si cambia, insistere su un cavallo perdente significa martellarseli come Tafazzi.
Tanto per prendere a modello la democrazia americana (non mi piace il sistema, ma ritengo che i loro elettorato sia molto più maturo di quello italiano), il politico che mi è piaciuto di più, da sempre, è Al Gore. Eppure si e' candidato una volta. Ha perso e ha desistito. Una volta, non due. Avrebbe potuto candidarsi di nuovo, ma non l'ha fatto (o forse l'ha fatto e l'hanno segato? Boh!). Perché?
Se io corro per la Casa Bianca e perdo, vuol dire che gli elettori che votano per me sono troppo pochi rispetto a quelli che votano per l'altro. Se al prossimo giro mi candido di nuovo, essendo che io sono sempre io e gli elettori sono sempre gli stessi, mi sa che otterrò lo stesso numero di voti, e quindi perderò di nuovo. A meno di non ammettere una delle seguenti ipotesi:
1) chi mi vota non lo fa per la persona ma per i principi che propone. Questo significa dare molto credito all'intelligenza dell'elettore, ma consente di spostare un significativo numero di elettori solamente modificando i propri principi. A me pare che uno che passa sopra ai propri principi con lo scopo di ottenere più voti sia poco onesto, o almeno poco affidabile. E l'elettore, che proprio scemo non è, questo lo sa. Magari mi voterà, ma senza grande convinzione, visto che sono poco affidabile.
2) io sono sempre lo stesso e gli elettori sono sempre gli stessi, ma presuppongo che il candidato avversario rappresenti di meno il Paese, quindi io vinco non per merito ma per demerito dell'avversario. Questo significa non solo che l'avversario è debole, ma anche che la mia fazione non ha niente di meglio da proporre. Sbancare e' sicuramente un bene per il paese piuttosto che vincere per il rotto della cuffia (tanto che i sistemi elettorali che si propongono introducono trucchi artificiosi per far credere all'elettorato che chi vince sbanca).
3) la fazione avversaria si è dimostrata in passato fallimentare, e ha perso consensi. Quindi io vinco perché gli altri hanno fatto un casino. Dovrei dedurre che, se non l'avessero fatto, io non sarei stato ritenuto in grado di vincere.

Se è così proporre un cavallo perdente significa rischiare di perdere. E nella migliore delle ipotesi in cui si vinca, di non avere un forte supporto popolare, proprio quando la priorità lo richiederebbe e le condizioni sarebbero favorevoli. Significa avere un governo debole proprio quando si sarebbe potuto averne uno forte e proprio quando il Paese ne aveva bisogno uno forte. Farlo consapevolmente significa tradire il popolo.

E così Al Gore è l'agnello sacrificale per la vittoria dei Democratici. Un Democratico lo riterrebbe un male accettabile, se l'alternativa fosse la vittoria dei Repubblicani.

E' per questo che chi perde si deve fare da parte.
Bersani non ha mai sfidato direttamente Berlusconi ad un turno elettorale. Ma rappresenta una continuità con un passato che si è più volte dimostrato fallimentare.
Un esempio: Io credo che la principale causa di venti anni di distruzione della democrazia italiana sia il problema del conflitto di interessi. Non ci vuole un genio a capire che uno che ha affari personali da governare, quando chiamato a governare un Paese lo farà per favorire i propri affari e non il Paese. Non ci vuole molto a capire che se uno possiede i media li utilizzerà per vincere.
I governi di sinistra a cui ha partecipato Bersani non hanno voluto affrontare il problema. Berlusconi ne ha approfittato e ora ci troviamo qui. Quindi Bersani ha partecipato attivamente alla realizzazione della principale causa di vent'anni di Berlusconi. Bene ha fatto Renzi ad attaccarlo su questo punto.
Un altro esempio e' la legge elettorale. Definita da tutti una porcheria perché non assicura la governabilità che si propone. A mio parere una porcheria perché limita la democrazia e favorisce gli inciuci personali degli eletti.
Il PD ha fatto di tutto per tenersi quella legge elettorale, e se la terrà anche per le prossime elezioni. Io dico: a casa chi non e' stato capace di cambiare la legge elettorale quando ne aveva l'opportunità.

Questo e' il motivo per cui bisognerebbe rottamare il vecchio fallimentare.

Poi però non è mica detto che il nuovo sia migliore.
In fondo l'unico argomento a favore di Renzi è che vuole rottamare la classe dirigente che ha decretato i passati fallimenti (colposi o dolosi) della sinistra.
Ma Renzi rappresenta i poteri forti della finanza da cui e' sostenuto, senza contare le simpatie dichiarate dalla mafia (Berlusconi e Dell'Utri) quanto meno sospette.

E' per questo che, al secondo turno, voterò Bersani, turandomi il naso.

mercoledì 31 ottobre 2012

Maschio, bianco, eterosessuale...

Una "categoria" e' un insieme di elementi contraddistinti da caratteristiche comuni. Le caratteristiche comuni agli elementi dell'insieme caratterizzano l'insieme, per cui, visto che e' possibile includere un elemento nell'insieme solo se ha quelle caratteristiche, una volta incluso, e' lecito attribuirgli quelle caratteristiche. E quindi anche eventuali effetti di cui quelle caratteristiche sono causa.

Puo' pero' capitare che ci troviamo a riconoscere delle categorie in modo innato (per cultura o istinto), senza definirne le caratteristiche a priori, e ad includere quindi alcuni individui in quegli insiemi senza avere una idea precisa del motivo di quella inclusione. Cio' nonostante siamo convinti che quegli individui vi appartengono. Poiche' tuttavia, per esigenze comunicative, abbiamo bisogno comunque di descrivere le categorie, tendiamo artificiosamente a creare a posteriori delle caratteristiche e poi ad imporle ad esse, e, di conseguenza, agli individui che ne fanno parte.
Un esempio e' quello del cigno nero, di cui ho parlato in un post tempo fa. Chiunque sappia che cos'e' un cigno, alla richiesta di definirlo ci elenchera' alcune caratteristiche, tra cui di sicuro il piumaggio bianco. Quindi tutti i cigni, per essere tali devono avere le piume bianche. E cio' ha funzionato fino al giorno in cui non si sono scoperti (in Australia, credo) i cigni neri, del tutto simili a quelli bianchi se non per il colore. Da allora in poi, chiunque avesse visto un cigno nero l'avrebbe comunque riconosciuto come cigno, pur avendo quella fondamentale caratteristica diversa. La verita' e' che qualunque risposta alla domanda "da cosa si riconosce un cigno?" e' imprecisa, perche' finirebbe per fornire una lista di caratteristiche consuete ma non necessarie a che un individuo appartenga alla categoria, e la categoria, come noi la percepiamo, non e' smplicemente definita da quella lista.
Io credo che pero' l'errore non stia tanto nella risposta, ma nella domanda. Prima di chiedersi da cosa si riconosce un cigno, bisognerebbe capire che cosa sia un cigno. Un biologo risponderebbe che la categoria "cigno", come tutte le speci animali, e' definita geneticamente. Se un essere vivente ha caratteristiche genetiche tali per cui un suo accoppiamento con un cigno generasse dei cignetti fertili, allora si tratta proprio di un cigno. Il cigno nero e' un cigno perche' puo' accoppiarsi con cigni (bianchi o neri) e generare figli fertili.
Ho l'impressione che anche questa definizione sia imprecisa per mille motivi. Ad esempio discriminerebbe individui sterili, che in quanto tali non sono in grado di generare figli, tantomeno fertili. Ma soprattutto penso che non vada a fondo alla questione. Cioe', io, che non sono un biologo, riesco a riconoscere un cigno come tale pur non approfondendo la faccenda della riproduzione. Se mi dicessero che cio' che io considero la categoria dei cigni fosse divisa in due speci (cioe' alcuni dei cigni si potessero accoppiare con successo tra loro ma non con altri e viceversa), continuerei comunque a riconoscere i cigni di entrambe le speci come appartenenti alla mia categoria. E se anche, per distinguere le due speci, ci fosse una caratteristica visibile (ad esempio se mi dicessero che i cigni neri e quelli bianchi fossero reciprocamente sterili) ne prenderei atto, ma continuerei a distinguere i cigni (bianchi o neri) dai cammelli e dalle foche.

Quindi, qualunque sia la definizione delle corrette categorie (se ne esistono) per dividere il mondo, la questione che ci interessa e' stabilirne empiricamente alcune utili a noi per descriverlo, e di conseguenza il modo per assegnare loro gli individui.

Questa considerazione ha risvolti sociali, perche' sembra che siamo portati a distinguere gruppi umani per caratteristiche somatiche, o comunque evidenti. E cosi' esistono i bianchi e i neri, i maschi e le femmine, gli adulti e i bambini, gli omosessuali e gli eterosessuali...
E fin qui va bene, perche' categorie cosi' definite possono essere considerate semplicemente per quello che sono, cioe' insiemi di persone accomunate proprio da quelle caratteristiche che si sono utilizzate per definire le categorie. E cio' puo' avere qualche utilita'. Per esempio dubito che una azienda che produce cosmetici cerchi di commercializzare una crema abbronzante per un target di pelle nera. Credo di non sbagliare dicendo che gli assorbenti igienici siano utilizzati solo dalle femmine. Se fossi omosessuale rinuncerei a priori ad una relazione stabile con un uomo eterosessuale ecc...
Insomma, e' lecito applicare agli elementi di una categoria le caratteristiche che li contraddistinguono proprio perche' appartengono a quella categoria.

E' invece costume diffuso applicare alla categoria caratteristiche discriminatorie pur se non si tratti di caratteristiche distintive per quella categoria. E spesso ci si basa su conclusioni statistiche. Sull'osservazione, cioe', che una certa quantita' piu' o meno ampia di elementi appartenenti alla categoria abbiano quelle caratteristiche.
Se si attribuisce una caratteristica non distintiva alla categoria, bisognerebbe chiedersi come mai esistano degli elementi appartenenti a quella categoria che quella caratteristica non ce l'hanno, se si vuole andare a fondo alla questione, altrimenti si rischia di creare una ingiusta discriminazione all'interno della discriminazione stessa.

A volte, tuttavia appare difficile capire quali siano le caratteristiche "sostanziali" di una categoria e quali quelle "accessorie". Faccio un paio di esempi.

Le giraffe adulte hanno un'altezza di circa 5 metri. Si tratta di selezione darwiniana, cioe' che mutazioni genetiche casuali su giraffe primordiali piu' basse hanno prodotto alcuni individui dal collo lungo, e questa caratteristica si e' rivelata vincente nella competizione per il cibo perche' riuscivano a mangiare le fronde piu' alte irraggiungibili da animali piu' bassi (comprese le giraffe non mutate). La caratteristica vincente si e' quindi propagata perche' gli individui mutati avevano piu' probabilita' di sopravvivere e quindi di riprodursi e di perpetrare il gene mutato.
Se oggi dovesse esserci una analoga mutazione genetica casuale e nascesse una giraffa col collo corto, avrebbe meno probabilita' di sopravvivenza e di riproduzione. Ma noi, vedendola, continueremmo a ritenere che si tratti di una giraffa, seppure un po' diversa.
Nonostante il collo corto non sia una caratteristica che escluda necessariamente l'individuo al gruppo, credo che sia ragionevole considerare il collo lungo come "sostanziale", infatti si tratta di un fatto genetico che hanno in generale le giraffe, e che in generale non hanno gli altri animali. C'e' un motivo fondato per cui possiamo attribuire la caratteristica alla categoria e agli elementi e prevedere che nuovi elementi abbiano quella caratteristica con una buona probabilita'.

Come mai i giocatori di basket sono tutti alti?
Potrebbe essere anche per loro una questione genetica, ma non credo. O meglio, e' una caratteristica genetica applicata ai singoli individui, ma non alla categoria dei giocatori di basket. L'altezza e' certamente una caratteristica favorevole per loro, perche' raggiungono meglio il canestro, ma non credo che chi ha quella caratteristica possa sopravvivere meglio o accoppiarsi con piu' facilita' degli altri con le giocatrici delle squadre femminili. Ne' tantomeno che i figli di giocatori e giocatrici di basket, pur che ereditino il gene dell'altezza, debbano necessariamente intraprendere la stessa carriera.
Non e' nemmeno vero che l'attivita' peculiare di chi gioca a basket (partite e allenamento) sia causa un allungamento. O forse e' cosi', ma al massimo per una questione di millimetri, mentre qui stiamo parlando di decine di centimetri! Conosco un ragazzino affetto da acondroplasia, e non consiglierei mai alla madre di indirizzare il figlio a questo sport per risolvere il problema.
Piuttosto penso che, proprio perche' nella pallacanestro chi e' alto e' favorito, quelli che lo intraprendono riescono a raggiungere livelli agonistici buoni con piu' facilita' se sono alti. Gli altri devono accontentarsi di livelli inferiori e finira' che noi non sentiremo mai parlare di loro.
Non credo quindi che sia ragionevole considerare l'altezza come una caratteristica "sostanziale" dei giocatori di basket. Credo che l'altezza media di chi intraprende questo sport sia uguale a quella di tutti gli esseri umani, solo che quelli bassi non sfonderanno in questo campo.
Pero'... se sentiamo parlare di qualcuno sconosciuto che pratichi la pallacanestro a livello amatoriale ce lo figuriamo alto almeno due metri. Sbagliato!

La giraffa ha buone probabilita' di essere un animale molto alto, mentre il giocatore di basket ha le stesse probabilita' di tutti di essere piu' alto della media.
La differenza sta nel fatto che la giraffa e' alta perche' l'altezza definisce la categoria delle giraffe, mentre, per i giocatori di pallacanestro l'altezza e' solo una caratteristica accessoria (importante quanto si vuole, ma che non definisce la categoria).
Inoltre l'altezza non e' una caratteristica sufficiente per i giocatori di pallacanestro. Infatti esistono ragazzi molto alti che tuttavia, anche se intraprendessero questo sport, non raggiungerebbero mai livelli agonistici.

In questo contesto, la statistica puo' essere uno strumento utilizzato impropriamente per avvalorare tesi volutamente discriminatorie, indipendentemente dalla verita' delle affermazioni che propone.
Per esempio, credo che l'espressione "i Rom puzzano" non sia del tutto falsa, se considerata secondo certe limitazioni.
In Italia una grossa fetta di persone appartenenti a questa etnia vivono in uno stato di estrema poverta' e in condizioni igieniche precarie, perche' non si possono permettere stili di vita migliori. Io invece che posso, mi lavo tutti i giorni, e, per essere sicuro di non emanare olezzi sgradevoli, mi metto pure il deodorante sotto le ascelle. Quindi mediamente un Rom puzza piu' di me.
Pero' bisognerebbe stare molto attenti a non utilizzare impropriamente questa espressione. Un'affermazione come "i Rom puzzano" suggerisce un'interpretazione diversa da quella descritta qui sopra. Suggerisce che i Rom abbiano una cultura primitiva e non capiscano l'importanza dell'igiene personale, o addirittura che si tratti di una razza geneticamente inferiore e la puzza sia il fenotipo del loro difetto genetico. In ogni caso, poiche' l'espressione "puzza" ha connotazioni culturalmente negative, "i Rom puzzano" suona comunque come un insulto. Naturalmente io non penso che la cultura Rom sia primitiva o che l'etnia sia una razza inferiore, e non voglio insultare proprio nessuno.
Il problema secondo me e' linguistico. Innanzitutto al massimo l'espressione ha un valore statistico, e non assoluto. Inoltre la puzza non caratterizza l'essenza della categoria dei Rom (ritenerlo significa avere un preconcetto razzista). Infine l'espressione sembra essere una dichiarazione definitiva e non stimola una indagine piu' approfondita: perche' i Rom puzzano?
Oltre a tutto possiamo anche aggiungere che ci sono molte altre (categorie di) persone che puzzano. Analizzando la questione ci vorrebbe poco a concludere che la causa e' la poverta' e quindi le condizioni igieniche. Anche noi, se vivessimo in condizioni analoghe, puzzeremmo altrettanto.
C'e' poi chi sostiene che "l'eccezione conferma la regola". Questi, dovessero incontrare un Rom che non puzza lo riterrebbero uno scherzo della natura. Come una giraffa dal collo corto: la vedremmo cibarsi degli arbusti piccoli e quindi fare una vita diversa da quella delle altre giraffe. L'evidenza dello svantaggio competitivo dovuto al collo corto confermerebbe la necessita' naturale che le giraffe abbiano il collo lungo. Evidentemente la stessa conclusione non puo' valere per il Rom che non puzza, appunto perche' la puzza non e' una caratteristica necessaria per la categoria.

Io sono maschio, bianco, eterosessuale. E' cosi' e basta. Sono sempre stato cosi' e non conosco altro modo di essere. Cerco di vivere al meglio secondo i miei principi e la mia coscienza. e' nella mia natura essere maschio, bianco, eterosessuale, quindi sono contento di essere quel che sono. Cerco di essere una brava persona, secondo la mia personale condotta morale. Ma questo non significa gran che', visto che non sono detentore di una morale assoluta, e certamente la mia etica individuale e' costruita sulle basi del mio essere maschio, bianco, eterosessuale.
Sono per altro anche mille altre cose: biondo, sovrappeso, astigmatico, allergico all'aspirina, ateo... Ma sembra che, per la societa', maschio, bianco e eterosessuale siano gli attributi importanti per la definizione di una categoria precisa. Io, dunque, non posso negare di appartenere a quella categoria.

Da qui pero', dire che la categoria discrimina chi non vi appartiene per contrasto, cioe' femmine, neri ed omosessuali (o magari addirittura elementi che appartengono a intersezioni di queste categorie - cioe' individui che hanno piu' di una di queste caratteristiche) mi pare davvero discriminatorio nei confronti di chi appartiene alla categoria dei maschi bianchi eterosessuali.

Secondo me, nel mondo del lavoro, possiamo dire che dalle due parti della barricata non ci sono uomini e donne, ma persone-che-aspirano-a-posizioni-di-potere e persone-che-non-aspirano-a-posizioni-di-potere.
Tra queste due categorie, la differenza sostanziale e' che gli uni utilizzano gli artigli per farsi spazio tra gli altri a suon di graffi. Raggiungono la cima non tanto perche' hanno qualita' tecniche migliori per fare la scalata, ma perche' riescono a sgomitare di piu' per farsi spazio. Usano di piu' l'aggressivita' e lo spirito competitivo piuttosto che la capacita', l'intelligenza e la cultura. Inoltre spesso accade (come avviene per me, ad esempio), che chi non ha potere nemmeno ambisce ad averne, perche' e' piu' interessato a fare, piuttosto che a dirigere. Le logiche della gerarchia aziendale, almeno in Italia, almeno per quanto riguarda la mia modesta esperienza lavorativa, non si basano sulle capacita' di ricoprire un ruolo al meglio, ma su quelle di dimostrare di essere migliore degli altri. Tant'e' vero che io posso essere bravo nel mio lavoro quanto voglio, ma mi si riconoscera' uno stipendio sicuramente inferiore a colui che mi sta sopra nell'organigramma, per quanto lui sia assolutamente inetto a quel lavoro (e a qualunque altro che richieda un minimo di intelligenza). Lui sta li' perche' ha la capacita' di far credere di avere le palle per ricoprire quella posizione, non perche' dimostra di essere qualificato per quel ruolo.

Io non credo sia vero che una donna non possa scalare la gerarchia aziendale. Credo pero' che per farlo debba sgomitare, graffiare, arraffare, lottare almeno quanto un uomo che ambisce allo stesso posto. Credo (ma non ne sono sicuro) che una donna sia meno naturalmente portata a questa attivita', perche' credo che l'istinto a competere ad ogni costo sia proprio del maschio. Forse per ragioni culturali, o forse addirittura genetiche: i due cervi maschi si prendono a cornate per ottenere il diritto di riprodursi. Non si e' mai visto, nel regno animale, due femmine che competono per la stessa ragione.
Ma credo anche che se i maschi hanno istinto a dominare, solo pochi di essi riescono effettivamente a farlo.
Credo infine che l'uomo si differenzi dagli animali perche' puo' basare le sue scelte su una cultura, e non si limita ad assecondare le pulsioni. L'aggressivita' necessaria per manifestare il diritto ad essere superiore nella gerarchia e' una capacita' eticamente negativa, e come tale dovrebbe essere repressa.
Io sono proprio bravo nel mio lavoro. Sono bravo anche nella capacita' di crescere ulteriormente dal punto di vista tecnico. E non ci vedo proprio nulla di contraddittorio con il fatto che non ambisco per niente a detenere posizioni gerarchicamente piu' alte. Perche' non mi interessa il lavoro di dirigere. Mi interessa invece usare la mente per costruire cose.
E se anche ambissi a posizioni dirigenziali, non credo di averne le capacita', perche' non credo di essere bravo a sgomitare per ottenere sedie piu' in alto. E se anche ne avessi le capacita', non lo riterrei moralmente giusto.
L'unica attrattiva che trovo per i posti a livelli piu' alti e' lo stipendio. In effetti, per quanto io mi dimostri bravo, non riusciro' mai ad accrescere il mio stipendio oltre ad una certa soglia. E non e' una questione di mercato, perche' il valore non e' proporzionato alla capacita' tecnica, visto che chi mi sta sopra non e' in grado di giudicarla. Non trovo affatto giusto che uno bravo relegato in basso all'organigramma percepisca uno stipendio inferiore ad un incapace che occupa i piani alti. Non lo trovo giusto neanche per l'azienda: il valore prodotto dal mio lavoro e' infinitamente superiore a quello prodotto dal mio capufficio, che e' solo un idiota bravo a sgomitare. Eppure lui prende piu' di me.

Io credo che la donna abbia molte meno opportunita' di successo, nella scalata sociale, rispetto all'uomo, cosi' com'e' organizzata la nostra societa'. E' vero che alcune donne riescono a raggiungere pari livelli, ma e' anche vero che quelle che ci riescono sono estremamente poche. Tanto per essere chiari, credo che non sia giusto.
Ma credo anche che questo problema sia figlio del metro di valutazione sbagliato. Credo che una donna debba avere la stessa opportunita' di un uomo di ricoprire un posto ai vertici dell'azienda. Ma credo che cio' dovrebbe avvenire solo se quella donna ha in effetti le capacita' tecnica, l'intelligenza e la cultura per dirigere quell'azienda. Esattamente come credo dovrebbe avvenire per un uomo. E invece non e' cosi'. Il presidente di questa azienda, per esempio, e' un emerito cretino. Si sta aprendo la strada per la successione alla figlia, che non ha affatto qualita' migliori di lui. Cio' in cui entrambi eccellono e' un'insieme di cattiveria, aggressivita', arroganza e impietosita' nei confronti dei normali dipendenti. E penso che queste caratteristiche, oltre che la proprieta' ereditata, siano cio' che abbia loro consentito di trovarsi a ricoprire quel ruolo. Dal canto mio invidio il loro reddito, ma non certo il loro modo di essere.

Sono convinto che una ragione per cui la donna e' discriminata nella scalata sociale sia che e' tendenzialmente meno aggressiva dell'uomo. Ma anche io, pur essendo uomo, non sono aggressivo abbastanza per riuscire vincente nella scalata sociale, e quindi anche io sono discriminato.
Io non ricopro ruoli dirigenziali e di questo passo non riusciro' mai a ricoprirne. Ne' voglio farlo. Mi piacerebbe guadagnare di piu', ma se il prezzo e' diventare uno stronzo, allora ne posso fare a meno.
Nei vari ambienti lavorativi ho trovato molte donne al mio livello in condizioni analoghe alle mie. Cio' che e' piu' difficile per le colleghe donne, rispetto agli uomini, e' trovare una strada per una promozione a ruoli piu' alti. Io mi sento altrettanto discriminato. Eppure sono maschio, bianco ed eterosessuale.

Sentirmi dire che una donna ha meno opportunita' di crescita di me, o, addirittura, ritrovarmi implicitamente etichettato in una categoria che viene accusata di essere la causa di questa discriminazione, lo trovo francamente un po' offensivo.

martedì 23 ottobre 2012

Patente e libretto...

L'auto non e' un mezzo ecologico, per cui, se ci sono alternative ragionevoli, non la uso, anche se guidare mi piace molto.
Dove sto io i mezzi pubblici non sono una valida alternativa, data la scarsita' di corse (due al giorno in orari improponibili). E neanche la bici, data la pendenza del percorso e la distanza di qualunque servizio. Quindi, purtroppo, l'auto la uso spesso.

Ritengo che le regole debbano essere rispettate. Penso che infrangerle in alcuni casi sia un metodo di protesta valido, ma questo non deve mai essere una scusa per mascherare un tornaconto proveniente da un comportamento illegale.
Pero', con tutta la mia buona volonta', ci sono casi in cui mi ritrovo mio malgrado a non riuscire a rispettare il codice della strada. Il problema principale e' costituito dai limiti di velocita'.

Si dice che il tachimetro delle automobili in genere e' tarato per segnalare una velocita' di circa 10km/h inferiore a quella reale. Ho provato a confrontare con i dati del GPS ed e' proprio cosi'.
Inoltre, i meccanismi elettronici di ausilio alla polizia per misurare eventuali eccessi di velocita' pare che "concedano" un errore di taratura fino a 10km/h in piu' della velocita' reale. Di conseguenza la polizia comincia ad essere preoccupante per l'automobilista solo se il tachimetro indica 20km/h piu' del limite di velocita'.
Devo ammettere che io adotto questo ragionamento per decidere quando posso accelerare ancora un po'. Chiaramente si tratta di una motivazione un po' debole: ci si aspetterebbe che la velocita' indicata come limite di velocita' sia quella mostrata dal tachimetro e non quella rilevata dagli autovelox meno 10. Pare che comunque tutti utilizzino questo metodo, o addirittura metodi ancora piu' permissivi, visto che raramente mi capita di dover superare altre automobili, ma anzi vengo io stesso superato.
Queste considerazioni indicano chiaramente che i limiti di velocita' delle strade sono percepiti come troppo restrittivi dagli automobilisti. E non parlo di chi guida sotto i fumi dell'alcol o di chissa' quali droghe da discoteca, al sabato notte gareggiando con la vita, ma anche dei nonnetti che guidano col cappello in testa e il naso incollato al parabrezza per vederci meglio.

L'interpretazione "all'italiana" dei limiti vale anche per le forze dell'ordine. Carabinieri, polizia, vigili, guardia di finanza, esercito; addirittura i cellulari della polizia penitenziaria superano abbondantemente i limiti di velocita'. E cio' succede anche quando non hanno le segnalazioni di emregenza accese. Per non parlare delle auto blu e della loro scorta, che ti si incollano al culo, ti suonano e ti abbagliano per farti spostare, anche se stai gia' andando, perlappunto, a 20km/h oltre il limite. Manco i politici che trasportano avessero degli impegni improrogabili da cui dipende la sorte dell'economia globale.
Ovviamente fanno eccezione quelle auto della stradale a caccia di trasgressori. Queste rispettano scrupolosamente il limite, cosi' che uno si sentirebbe motivato a superarli, se non che, facendolo, si ritrovasse necessariamente in contravvenzione proprio davanti alla polizia (il che, naturalmente costituisce un pericolo per la circolazione, visto che gli automobilisti che viaggiano a velocita' tarate su personali interpretazioni, sono costretti ad improvvisi rallentamenti).

I limiti di velocita' non sono solo troppo restrittivi. A volte sono anche contraddittori. Faccio alcuni esempi.

Il centro abitato dove risiedo e' la frazione di un piccolo paesino montano. Si trova a meta' strada tra il fondovalle e la cima della montagna. E' talmente piccolo che quella e' l'unica strada percorribile, e il centro abitato e' costituito da un tratto di quella strada lungo circa un chilometro.
Siccome si tratta di una strada di montagna, quindi stretta e piena di tornanti, l'intero suo percorso, dal fondovalle alla cima ha un limite di velocita' ben segnalato di 30km/h.
L'ingresso e l'uscita dal centro abitato sono segnalati chiaramente dagli appositi cartelli bianchi scritti in nero. Come tutti sanno questi cartelli sottintendono un limite di velocita' ridotto a 50km/h, se non diversamente specificato. Qui, ad ogni buon conto, e' specificato da ulteriori segnali di limite. Che indicano 50km/h.
Cioe', praticamente, percorrendo la strada dal fondovalle alla cima, bisogna andare al massimo a 30 all'ora, ma e' concesso di accelerare a 50 dove? Quando si attraversa il centro abitato. Geniale!

Un altro esempio e' la statale 36, che collega Milano con Lecco, per proseguire fino all'estremita' nord del lago, a Colico.
Sul tratto che va da Colico alla Brianza (Verano Brianza), e' una superstrada a due carreggiate, due corsie per carreggiata, senza corsia di emergenza. Il tratto a nord di Lecco equivale, come condizioni della strada, a quello a sud di Lecco. Salvo il fatto che da Colico fino a Lecco e' quasi completamente sotterraneo. Ogni carreggiata viaggia all'interno di un tunnel. Qui il limite di velocita' e' di 100km/h. Il tratto da Lecco a Verano Brianza invece, che e' all'aperto, e' di 90km/h. Perche'? Boh. Comunque il nonsense si ha, viaggiando verso sud, proprio a Verano Brianza. Proseguendo per Milano, la strada diventa improvvisamente a tre corsie per carreggiata, ma il limite di velocita' di 90km/h non e' esplicitamente modificato, e quindi si suppone che sia ancora di 90km/h. E' invece mostrato un altro segnale stradale che indica che il limite minimo di velocita' sulla terza corsia e' di 90km/h. Cioe', sulle tre corsie bisogna viaggiare a meno di 90, ma sulla terza bisogna viaggiare a piu' di 90. Quindi sulla terza corsia bisogna viaggiare ESATTAMENTE a 90 all'ora altrimenti sei in contravvenzione. La cosa diventa bizzarra quando poi, su un tratto in curva, accanto al limite minimo di velocita' di 90 e' affiancato il limite massimo di 70. Ergo non si puo' viaggiare sulla terza corsia, data l'impossibilita' di rispettare contemporaneamente i due limiti. Ad ogni buon conto, quando c'e' un'auto della polizia in giro, gli automobilisti (me compreso) rallentano a 90 all'ora e si affrettano a togliersi dalla terza corsia, rendendo ovviamente piu' pericolosa la circolazione.

Sulla strada del lungolago di Vercurago (che percorro per evitare nelle ore di punta il traffico maestoso della provinciale), c'e' una segnalazione piuttosto criptica: cartello circolare bianco bordato di rosso (divieto di circolazione) corredato da un crocifisso seguito dalla dicitura "0-24 - salvo residenti". Dunque, vediamo... e' vietato circolare nei giorni festivi 24 ore su 24 tranne che per i residenti. Di sabato, io, che non sono residente, ci posso andare? Boh.
Ebbene, su quella strada il limite di velocita' e' di 10km/h. Credo che sia riferito solo ai mezzi motorizzati, perche' non ho mai visto fare multe a quelli che fanno jogging sul marciapiede. In ogni caso, il tachimetro della mia macchina non ci arriva nemmeno a 10 all'ora. La prima tacca corrisponde a 20.

Sull'autostrada della Val d'Aosta il limite di velocita' e' 130km/h. Nelle gallerie e in prossimita' delle uscite il limite di velocita' scende improvvisamente a 80km/h. E' ben segnalato, cosi' come e' ben segnalata la fine dei tratti a velocita' ridotta. Sfortunatamente le uscite e le gallerie sono numerosissime, il che costringe a continue accelerazioni e decelerazioni, oppure a viaggiare a 80 all'ora costanti. Nel primo caso si spreca carburante, si inquina e si intralcia la circolazione, nel secondo caso la velocita' e' talmente sproporzionata che converrebbe prendere la statale, che fa un percorso molto simile ed ha un limite di velocita' di 90 all'ora (pur avendo una sola carreggiata per entrambi i sensi di marcia).

Questi esempi mi fanno concludere che lo scopo dei cartelli di limite della velocita' non sia di limitare la velocita', ma di mettere in condizioni di colpa gli automobilisti. Viaggiare rispettando i limiti, dove e' possibile, e' una soluzione decisamente poco ragionevole.
Che sia per disincentivaere l'uso dell'automobile? Be', se ci fossero alternative non sarebbe nemmeno sbagliato.
Il fatto e' che se non si rispettano le regole ci si sente autorizzati a fare quel che si vuole. La ragionevolezza spesso non e' applicata dagli automobilisti, e questo e' il motivo per cui esistono regole e segnali.
In altri paesi, per esempio in Francia, mi ritrovo a guidare con il mio solito stile di guida, ma il bello e' che non ho l'ansia della consapevolezza di essere sempre e costantemente in contravvenzione.

venerdì 12 ottobre 2012

Lombardia!

Che schifo, eh, nella nostra regione?!

Cosi'... come gramelot puramente speculativo, stamattina mentre guidavo e ascoltavo il gr di Popolare Network, mi chiedevo quanto sarebbe stato diverso tutto cio' se, alle regionali del 2010, avesse vinto il "purosangue" della sinistra, Filippo Penati.

Non e' che sia riuscito a darmi esaurienti risposte...

giovedì 11 ottobre 2012

...A destra, a sinistra, sopra o sotto...?!?

Ho sempre pensato che una buona legge elettorale debba essere proporzionale, perche' credo sia giusto che un'idea venga rappresentata proporzionalmente al numero di cittadini che la sostengono.
Ritengo anche che il diritto di esprimere le preferenze sia fondamentale, anche se odio l'idea che i voti di questo o di quel candidato non provengano tanto dalle sue capacita' (difficili da giudicare da parte dell'elettore), o, peggio ancora, dalle sue personali idee politiche (pretendere che l'elettore valuti queste piuttosto che le linee guida o i programmi del partito e' forse un po' eccessivo), quanto piuttosto dalla simpatia o popolarita' (caratterustiche facilmente pilotabili dai media, e comunque non decisive per la carica politica). Soprattutto penso che le preferenze siano cosa importante perche' si e' sperimentato che se si lascia ai partiti il compito di nominare le liste, finisce che le nomine ricadono sulle persone piu' controllabili dai partiti stessi, piuttosto che sulle piu' capaci e rappresentative. In pratica i partiti tendono a nominare i piu' corrotti, o almeno i piu' corruttibili. Il che e' esattamente l'opposto di quel che tutti noi cittadini "normali" vorremmo. Certo il reato di corruzione dovrebbe essere giudicato dalla magistratura in sede di processo, non dal cittadino in sede di elezione, ma abbiamo visto che non basta, e ci ritroviamo in parlamento una quantita' davvero insostenibile di persone che agiscono nel loro ufficio per interessi personali. Chiaramente, piu' che della legge elettorale, e' colpa di chi ha nominato quei parlamentari, cioe' i partiti, il che mostra una volta di piu' che i partiti sono ben lungi dall'essere l'espressione degli elettori che li votano.

In definitiva, se ho capito bene, riguardo la legge elettorale mi sa che la penso piu' o meno come il PdL, per quanto questa considerazione mi provochi una certa fioritura di orticaria.
Naturalmente non ci si pone nemmeno il problema di capire perche' il PdL proponga una legge elettorale proporzionale con le preferenze: quelli non hanno mai fatto nulla per il popolo, anche questa volta deve trattarsi solo di convenienza personale. Cioe', in un periodo di magra come questo, perderebbero meno potere con una legge del genere piuttosto che con una maggioritaria. E la riprova di questo srumentalismo sta nel fatto che fino all'altro ieri, in condizioni diverse, i leader del PdL erano ben felici di vincere con il porcellum.
Pero', a pensarci bene, non possiamo neanche farene una questione etica, perche' dall'altra parte e' pur vero che i motivi per cui il PD vuole invece una legge maggioritaria e senza preferenze sono, nella migliore delle ipotesi, finalizzati a vincere con uno scarto maggiore. Insomma, la discussione sulla legge elettorale non ha nulla a che fare con il livello di espressione democratica, ma solo con la lotta tra i poteri. Bisogna concludere che, comunque vadano le cose, la legge che ne uscira' sara' di sicuro un passo indietro per la democrazia e uno avanti per la corruzione.
Certo, alle elezioni, una vittoria numericamente piu' netta sarebbe da auspicare a prescindere da chi dovesse vincere, perche' garantirebbe una piu' salda governabilita', ma io credo che la solidita' del Parlamento debba basarsi sull'ampiezza del consenso dell'elettorato, non su trucchetti squisitamente astratti quali maggioritario, sbarramenti e premi di maggioranza vari. Correggere i numeri sul tachimetro dell'automobile puo' dare l'illusione di andare piu' veloce, ma e' solo un'illusione!

Insomma, la discussione sulla legge elettorale e' in realta' uno scontro tra interessi personali e di partito.
Che il PdL, partito di farabutti, agisca solo per interesse, be'... l'ha sempre fatto, non mi aspettavo altro. Ma se lo stesso fa il PD, allora, cos'e' che ci contraddistingue da quei farabutti?
E si' che, dopo vent'anni di porcherie su porcherie impunemente perpetrate dal Clown, dopo un periodo di lacrime e sangue, sedicente necessario, la cui responsabilita' si e' accuratamente evitata, facendola ricadere sul governo tecnico, mi pareva proprio che, indipendentemente dalla legge elettorale, il PD dovesse essere in grado di fare man bassa di voti comunque. Che Achille fosse di gran lunga in grado di superare la tartaruga qualunque vantaggio le si concedesse. E invece no. Siamo ancora qui con il Clown che minaccia di ricandidarsi. E' mai possibile che il PD non abbia alcuna intenzione di impegnarsi un po'?
Certo, il vantaggio del Clown sta nel potere di telecomandare l'opinione pubblica con l'artiglieria dei mezzi di informazione. Perche' segregare al dimenticatoio il conflitto d'interessi, non lo capiro' mai.

E va be'...

Tempo fa ascoltavo una trasmissione di approfondimento su Radio Popolare riguardo alla lettera di alcuni parlamentari a Bersani, contro la candidatura di Vendola alle primarie.
L'interessante lettura fatta in quella trasmissione e' di una certa contrapposizione tra un PD di centro che si allei con il terzo polo (l'idea di una alleanza di centrosinistra con quel fascista di Fini mi fa rabbrividire, ma tant'e') e un PD piu' spostato a sinistra che si allei invece con Vendola.
Le due parti contrapposte sono lo specchio delle due anime che hanno fondato il PD, e se la parte di sinistra cerca di recuperare delle radici in passato molto solide, la parte di destra invece insegue la tendenza a destra del popolo italiano.
Il che non mi pare una grande idea (anche se non e' che sia un mago del marketing). Cioe' che si cerchi di allargare il bacino elettorale dichiarando di essere uguali a quelli che hanno fallito, scontentando cosi' anche gli elettori consolidati.

Ed e' qui che non capisco piu'. L'effermazione che il popolo italiano e' di destra. Ma che diavolo significa?
Quand'ero ragazzo ricordo gli insegnanti di sinistra, le celebrazioni, a scuola, del 25 aprile, con la partecipazione di nonni partigiani, gli scioperi in rosso col pugno chiuso. Ecco, allora c'era l'impressione generalizzata che il popolo italiano fosse fondamentalmente di sinistra, e che la destra fosse stata superata col Duce appeso per i piedi in piazzale Loreto. E allora nemmeno i fascisti dell'eta' nuova mi spaventavano, perche' di pazzi ce ne sono tanti, ma per ribaltare la societa' ci vuole anche un consenso popolare. Che non c'era, perche' gli Italiani erano un popolo di sinistra.
E adesso mi si dice che invece gli Italiani sono di destra.
Ma che cos'e' la destra?
Per me la destra e la sinistra, oggigiorno, si distinguono dal fatto che l'una e' liberista e capitalista, l'altra piu' statalista e solidale. La prima visione giustifica la disparita' perche' genera maggiore ricchezza anche per le classi inferiori. L'altra invece sostiene che questo modello non funziona e quindi lo stato deve farsi carico di proteggere le classi inferiori, prendendo ai ricchi per nutrire i poveri, scotto che i ricchi devono pagare per meritarsi l'appartenenza a questa societa', e per guadagnarsi i privilegi non scontati di cui godono grazie ad essa.
Questa e' la sostanziale differenza tra destra e sinistra. Io mi sento di sinistra, ma entrambi i punti di vista hanno una loro dignita'.
Per inciso, io sono di sinistra, ma accetterei di buon grado una destra onesta che riesca a far progredire l'economia e con essa il benessere e la liberta' anche delle classi inferiori. Sarebbe gia' meglio dello stato attuale, e decisamente molto meglio del ventennio del Clown.

Ma sotto queste definizioni non credo proprio che gli italiani siano un popolo di destra.
Certo, a nessuno piace pagare le tasse. Nel senso che a nessuno piace tirare fuori i soldi in generale.
Per esempio io sono orgoglioso di pagare le tasse, nel senso che amo fare la mia parte e rendermi utile per la societa'. Ma mi piacerebbe rendermi altrettanto utile pagando di meno, se fosse possibile.
Chiunque cerca l'occasione. Tra due negozi che vendono lo stesso prodotto, scelgo quello che me lo fa pagare di meno.
Mi piacerebbe in buona sostanza che i servizi dello stato (sanita', scuola...) siano di ottima qualita' e di prezzo basso. Tutti lo vorrebbero.
Ma non si puo'. E allora, per vincere le elezioni, la destra promette un taglio delle tasse (omettendo di dire che in questo modo bisogna tagliare anche i servizi). La sinistra dovrebbe invece promettere un miglioramento dei servizi (magari aumentando le tasse).
C'e' un tipo che conosco che trova mille trucchi per non pagare le tasse. Evita di emettere fatture, trova sotterfugi per dichiarare esenzioni impossibili... Teorizza questo comportamento agevolando gli stessi trucchi da parte di altri liberi professionisti di cui occasionalmente puo' aver bisogno, e dichiara spudoratamente la sua contrarieta' alla pressione fiscale. Nello stesso tempo pero' si lamenta che la sanita' pubblica , di cui la sua famiglia e' purtroppo costretta a fare uso, funziona male o non funziona affatto.
Secondo me questo atteggiamento lo dipinge ipocrita e stupido, ma non necessariamente di destra. Chiunque, potendo, preferirebbe non pagare le tasse ed avere servizi ottimi e gratuiti. La stupidita' sta nell'aver creduto nelle promesse palesemente fasulle di chi, di volta in volta, ci governa.
Questo tipo che conosco e' un tipico elettore del PdL o della Lega, ma non perche' e' di destra. Quanto piuttosto perche' ragiona con la pancia piuttosto che col cervello. E non e' vero che chi ragiona con la pancia sia necessariamente di destra. Dipende piuttosto dall'abilita' della destra a far credere al proprio elettorato false promesse, e nella ovvia inabilita' della sinistra a smascherarle.
Non credo che gli italiani siano razzisti o xenofobi. Cioe', non e' che disprezzano il diverso in quanto tale. Il problema e' che gli stranieri (riconoscibili per i tratti somatici, il colore della pelle o almeno lingua e costumi diversi dagli italiani autoctoni), in genere sono immigrati qui perche' nel loro paese facevano la fame. E quindi sono poveri. E, da che mondo e mondo, la poverta' si porta dietro la criminalita'. Anch'io, se fossi povero, piuttosto che morire di fame andrei a rubare. O mi arruolerei nelle fila della criminalita' organizzata. Le prostitute sono in genere extracomunitarie, perche'? Be', mica per scelta. Piuttosto perche' per loro e' l'unico modo per sopravvivere. E' secondo me ovvio che tra gli immigrati la quantita' di delinquenza e' mediamente maggiore che tra gli autoctoni. Ed e' per questo che sono disprezzati od addirittura odiati.
Quel tipo di cui sopra, ad esempio, rispetta perfettamente il tipo di colore in giacca e cravatta, uomo d'affari. Ma disprezza quello che vende elefanti di legno fuori dal supermercato. Possibile che non si accorga che abbiano la pelle dello stesso colore?
Ecco che anche l'odio per gli immigrati non e' frutto di razzismo, ma di ignoranza. Basterebbe fare due piu' due per concludere che con una migliore distribuzione della ricchezza ci sarebbe piu' integrazione. Ma questo la sinistra non lo sa (o non lo vuole) spiegare.

Ecco, io credo che si possa piu' o meno dire che gli italiani siano tendenzialmente un popolo di destra, ma non per convinzione. Semplicemente perche' negli ultimi 35 anni (prima di allora, per me, e' solo storia raccontata) la destra ha avuto gioco facile nell'incanalare la loro pancia in preconcetti ideologici.
Ed ha avuto gioco facile perche' la sinistra non ha saputo spiegare la verita'. Non ha saputo costuire una cultura della solidarieta'. E gli Italiani? Gli italiani, anche i piu' stupidi, vogliono solo benessere per se e per i loro simili.

Ed ora, per il PD, spostarsi a destra significa ammettere che la cultura della solidarieta' e' morta. Tanto vale, per il PD, salire sul tram dell'ignoranza e allearsi col terzo polo, e sperare di vincere grazie a trucchetti numerici, sbarramenti e premi di maggioranza.

Per questo, alle primarie, votero' Vendola.
Anche se, per la verita', preferirei un candidato premier in grado anche di governare.

mercoledì 10 ottobre 2012

Cinque


10/10/2007

martedì 11 settembre 2012

E voi, al mio posto, che fareste?

Tutto e' cominciato a novembre 2011. Anzi, no, qualche mese prima.
Ho cominciato a sentire un fastidio all'interno coscia destro, proprio sul nervo.
Questo fastidio si trasforma in dolore quando piego la gamba destra a squadra, tipo per esempio quando mi siedo a terra a gambe incrociate. In quel caso non riesco ad abbassare il ginocchio verso terra senza provare dolore a quel nervo.
Non e' che sia un gravissimo fastidio, invero, perche' se non mi metto in quella posizione non c'e' alcun problema. Nemmeno se faccio sforzi o attivita' sportive (nuoto, bici, camminate in montagna). Pero' volevo accertarmi che quel problema non fosse in realta' il primo sintomo di qualcosa di piu' grave. Ne' volevo portarmi dieto quel fastidio per il resto dei miei giorni, per cui, visto che dopo qualche mese la situazione era rimasta invariata, a novembre ho deciso di dirlo al mio medico curante (che chiamero' dott.ssa G - dove G sta per medico Generico).
La dott.ssa G non l'ha dipinta molto grave, confermando i miei sospetti che si trattasse di uno strappo muscolare o una tendinite, e mi ha detto che si sarebbe probabilmente presto risolto da se'.
E invece non si e' risolto niente. Da allora ho ripetuto la cosa alla dott.ssa G svariate volte, fino ad arrivare al luglio scorso, quando le ho fatto notare che il sintomo era rimasto pressoche' invariato per circa un anno. Allora, la dott.ssa G mi ha palpato al basso ventre e mi ha chiesto di tossire. Mi ha detto che sentiva un "rimbalzo" e mi ha prescritto un esame specialistico dal chirurgo, perche' c'era una sospetta ernia inguinale.
La mia cultura medica si limita ai corsi di anatomia pane-e-salame organizzati dalla Croce Rossa, ed a circa sette anni di pratica sul campo come volontario in ambulanza, ma ammetto che non sapevo cosa fosse in dettaglio un'ernia inguinale, per cui mi sono fatto spiegare:
L'ernia inguinale e' una lacerazione dell'inguine proprio alla base dell'intestino. Puo' essere che si tratti di un'ulcera e quindi ci sia una parte di intestino che fuoriesce dal legamento inguinale, nel qual caso si vedrebbe un rigonfiamento sulla pancia, oppure la lacerazione e' (al momento) piu' contenuta, nel qual caso l'inguine continuerebbe a svolgere la sua azione contenitiva e quindi non si vedrebbe. In quest'ultimo caso si parla di "punta d'ernia".

Sono un tipo un po' ipocondriaco, ammetto. Se un medico mi dice che ho un problema, comincio a preoccuparmi, e nulla valgono i suoi tentativi di rassicurazione. La dott.ssa G dice che primo non e' il caso di fasciarsi la testa prima di rompersela (l'esame dal chirurgo serve appunto per chiarire la faccenda), secondo anche nel caso peggiore in cui si dovesse operare, l'operazione e' facile, tanto che in genere la fanno eseguire ai chirurghi freschi di specializzazione (l'idea di farmi operare da uno senza esperienza non e' che mi sia stata di molto conforto, ma questa considerazione me la sono tenuta per me).

Va be'. Prendo l'appuntamento per la visita dal chirurgo. Vado al poliambulatorio e mi faccio visitare dalla dott.ssa C (C come Chirurgo), aiutata da un'infermiera. L'esame somiglia a quello fatto dalla dott.ssa G, cioe' una palpazione alla base della pancia con simulazione di attacco di tosse. La dott.ssa G mi ha anche esaminato il testicolo ed ha ripetuto l'operazione sul lato sinistro (dove non ho alcun disturbo). Anche lei mi dice che potrebbe esserci un'ernia, quindi mi prescrive un'"ecografia inguino-scrotale bilaterale". In base al referto di questo esame avrebbe deciso se debbo essere operato oppure no. Anche la dott.ssa C cerca di tranquillizzarmi invano.

Okay. Telefono al numero unico della regione per la prenotazione dell'ecografia. Trovo l'operatore al telefono un po' imbarazzato perche' apparentemente non sa cosa sia una ecografia inguino-scrotale. Strano, di solito gli operatori a questo numero sono abbastanza preparati in materia. Vabbe', mi dice che si deve consultare con qualcuno e che mi richiamera'. Quando lo fa, alla fine, mi assegna un appuntamento per ieri.
Ieri vado all'accettazione e anche la persona allo sportello non sa cosa sia una ecografia inguino-scrotale. Morale decide la tariffa piu' o meno a caso e mi spedisce all'ambulatorio della dott.ssa E (come Ecografista) (che in tutta questa vicenda siano coinvolte solo donne e' una pura coincidenza - un po' imbarazzante, invero, vista la parte del corpo in questione).

Mi irrito un po', perche' anche la dott.ssa E mi dice che la dicitura della ricetta e' scorretta (ma io che ne so?). Tuttavia la richiesta e' chiara, visto che nella prescrizione e' specificato "sospetta ernia inguinale bilaterale".
Lo stupore della dott.ssa E e' dovuto ad un problema procedurale, che mi spiega piu' o meno in questi termini:
Se l'ernia fuoriesce dal legamento inguinale dovrebbe essere visibile come rigonfiamento. Se cosi' fosse, l'ecografia sarebbe utile per escludere cause diverse. Ma non e' questo il caso, visto che non si vede niente. Se invece fosse una "punta d'ernia", la cosa potrebbe essere diagnosticata tramite la palpazione da parte dello specialista, ma l'ecografia risulterebbe inutile, perche' non sarebbe in grado di rilevarla.
Quindi, deduco, l'ecografia prescritta non serve a nulla, perche' al piu' escluderebbe un caso gia' escluso a priori.

Per di piu', quando le descrivo i sintomi, la dott.ssa E mi dice, testuali parole, "non si e' mai vista un'ernia cosi' bassa!" (riferendosi alla zona in cui provo dolore) e mi dice che secondo lei il disturbo e' legato al muscolo o al tendine (cioe' conferma la mia auto-diagnosi pane-e-salame di un anno prima).
Mi chiede riguardo alla perplessita' che legge nel mio sguardo. Dico "e' che scoccia farmi un'ecografia inutilmente". Cerca di rassicurarmi a riguardo, dicendo che non e' proprio inutile: l'ecografia puo' comunque evidenziare che c'e' o che non c'e' qualcosa che non va. Certo non e' utile ai fini dell'ernia.
Io penso ai soldi sprecati da me e dallo Stato (che poi sono ancora io) per quell'esame, ma non dico niente. Chiaramente la dott.ssa E e' tenuta a farmi l'ecografia per cui ho pagato, e, credo per giustificare il palese disservizio, mi fa bell'esame completo: inguine, testicoli, vescica, reni, fegato, milza, pancreas. Tutto a posto (anche quel piccolo calcolo che pensavo di avere al rene, non c'e'). Quindi sono contento, al momento.
Me ne vado con il referto in mano, che stasera portero' alla dott.ssa G.

Ma poi ci penso, e credo stasera le esporro' i miei dubbi.
1) Di chi mi devo fidare? La dott.ssa G implicitamente ammette di non essere in grado di diagnosticare con certezza la mia ernia, infatti mi prescrive una visita specialistica dalla dott.ssa C. La dott.ssa C, per diagnosticarla, ha bisogno di una ecografia. Ma la dott.ssa E mi dice che una ecografia non e' in grado di farlo. Chiaramente mi posso fidare della dott.ssa C o della dott.ssa E, ma di sicuro non di entrambe contemporaneamente, visto che si contraddicono a vicenda. Ora, io non e' che abbia assoluto bisogno di fidarmi di qualcuno, ma l'ernia ce l'ho o no? E non e' un dubbio irrilevante: fare un'ecografia inutilmente e' un conto, ma non e' che posso farmi operare cosi' a casaccio.
2) Naturalmente, indipendentemente dal fastidio alla coscia, io potrei avere un'ernia oppure no. Ammesso che riesca ad ottenere una diagnosi piu' fondata, sarebbe meglio che me la curi. Ma sicuramente, comunque andra', il fastidio alla coscia ce l'avro' ancora, visto che (mi pare appurato) non ha niente a che vedere con l'ernia.

Il fatto e' che ho speso quasi 90 euro, in questa vicenda (28.50 per la visita specialistica e 61 per l'ecografia), ma ora ho piu' dubbi di prima.
Non e' che pretendo che la medicina sia una scienza esatta, ma un minimo di coerenza dovrebbe pur avercela, no?

giovedì 30 agosto 2012

Asìntoto verticale

La destra, antica e callosa, il palmo rivolto verso l'alto, appena incurvato a cucchiaio, in un moto lento ma deciso verso la superficie legnosa, per poi scivolare di lato come ad accarezzare amorevolmente col dorso della mano un invisibile corpo steso sul tavolo. Oppure come tastando delicatamente con i polpastrelli e il palmo una sfera immaginaria di aria soffice sospesa proprio li'.
Lo sguardo, Lui, lo manteneva puntato con dolcezza su di me, a dispetto del volto che sincronicamente seguiva, in modo appena accennato, il moto della mano, parallelamente al braccio. La schiena stanca incurvata in avanti. L'altra mano, aperta, appoggiata sul tavolo, lo manteneva in equilibrio.
Quel gesto era un invito a prendere posto sulla sedia di fronte a lui, come avesse qualcosa di importante da dirmi.
Sapevo che era cosi'. Era sempre cosi', con Lui. Se mi diceva qualcosa, doveva trattarsi di qualcosa di importante.
Tutto sta nel definire che cosa sia importante, avrebbe detto Lui. Anzi no. Non l'avrebbe detto, ma l'avrebbe sicuramente pensato. Che, in fondo, in questo concetto e' racchiuso tutto il significato della vita. Lui lo sapeva, cosa e' importante, ed io mi fidavo ciecamente di Lui anche se la mia mente e il mio corpo giovane non riuscivano a liberarsi di mille pensieri e pulsioni. In effetti non conoscevo un modo diverso di essere. Pieno di passione, di entusiasmo di fare, di progetti da realizzare. Alla fine la cosa importante rischiava sempre di rimanerci nascosta dietro. Ma Lui no. Lui vedeva. Con chiarezza.
Come tirate dai fili di una marionetta, le mie labbra abbozzano appena un sorriso, quasi imbarazzato, che rivela la mia volonta' di accettare il suo invito. A sedermi ed ascoltare. Lui mi risponde con un invisibile guizzo degli occhi.
Con passo goffo mi avvicino alla sedia. L'aria e' dolce dell'uva fragola matura appesa al pergolato sopra di noi.
Complice la calura estiva, appena rotta da una debole brezza, la situazione mi ricorda... gia': cosa mi ricorda? Dev'essere una di quelle esperienze che chiamano deja vu, perche' io so di essere gia' stato qui, con Lui, adesso, nel passato. O nel futuro.
Muovo un poco la sedia per potermici sedere sopra, lentamente, per non fare rumore e danneggiare il momento grave. Mi siedo, continuando ad osservarlo. Ha una camicia con un disegno tartan rosso e blu, a maniche lunghe rimboccate. E sopra la camicia un paio di bretelle. Lui lascia il tavolo e si appoggia stanco al bastone da passeggio. Afferra con l'altra mano lo schienale della sedia e lentamente si siede. Mi guarda negli occhi a lungo. Alla fine annuisce. Non a me, ma a se stesso, per confermare la decisione presa sul mio conto.
Afferra la bottiglia di vino. E' una bottiglia senza etichetta, col tappo a vite. Riempie i due bicchieri fino a meta'. Sono bicchieri di vetro spesso, da osteria, di quelli che anche se cadono difficilmente si rompono. Appoggia di nuovo la bottiglia al tavolo e con un movimento della mano verso di me mi invita a berne. Afferro il bicchiere. Afferra il suo. Beviamo. Lui assapora il suo vino chiudendo gli occhi.
Riappoggiamo i nostri bicchieri al tavolo, lentamente. Spezza il silenzio solo il ronzio degli insetti tra i grappoli.
Sbilanciandosi ruota la sedia in modo da poter vedere l'intera vigna. La guarda. La osserva. Io seguo il suo sguardo. Poi guarda me. Mi osserva. Torna sulla vigna, con un gesto della mano, ad indicare non un punto preciso, ma il tutto. Tutta la vigna, tutta la vallata, tutto il mondo.
Mi scruta di nuovo. Come un amico, un fratello, un padre, un nonno. Il volto come un ulivo millenario. Socchiude poco gli occhi, come per mettere a fuoco l'essenza di cio' che vede dentro di me.
E parla.
Un soffio di voce a stento udibile, mentre annuisce appena.
"Domani...".
So che a dispetto della parola sospesa, non arrivera' alcun seguito. Ma non e' necessario.
Abbassa un poco lo sguardo e torna a fissare l'infinito attraverso la vigna. Gli occhi lucidi. E ripete, con voce ancora piu' bassa, questa volta rivolgendosi solo all'enormita' di se stesso.
"Domani..."
E qui la curva del tempo ha un asìntoto verticale.

venerdì 17 agosto 2012

La proprieta' della tecnologia

Anni fa ho letto un racconto di Asimov, mi pare inserito nella raccolta Io Robot, in cui si narrava di un futuro piu' o meno prossimo dove quelli che potevano (all'inizio pochi privilegiati, poi piu' o meno tutti) si slegavano dalla necessita' di andare al lavoro, acquistandosi un robot che lo facesse per loro. Il robot aveva due braccia, due gambe, una testa con due occhi... insomma, si trattava di una macchina antropomorfa che durante la giornata lavorativa faceva le esatte cose che fa un lavoratore, a partire dall'uscire di casa con la valigetta in mano, prendere l'autobus eccetera.
Io questa storia l'ho letta moltissimi anni fa, e quindi non so fino a che punto e' Asimov che parla o la mia immaginazione che ci ha fantasticato su'.

Pero' ricordo la prima riflessione che ci feci sopra, vedendomi mentalmente la scena dell'operaio-robot al lavoro in catena di montaggio. Mi sono chiesto perche' mai quella macchina dovesse avere mani come le nostre, che sono strumenti eccezionali in generale ma di sicuro non ottimizzate affatto a determinati compiti come ad esempio avvitare viti (tant'e' vero che il buon Dio ha inventato il cacciavite per aiutarci in questo compito). Insomma, perche' un robot che avvita viti dovrebbe avere una cosa articolata come una mano per afferrare in un modo molto complicato un cacciavite anziche' una specie di protesi tipo un avvitatore elettrico che compie lo stesso lavoro in modo molto piu' efficiente, da tutti i punti di vista, compreso quello della produttivita'?

E allora, da questa riflessione se ne possono ricavare mille altre. Ad esempio, perche' il robot dovrebbe avere un sistema di telecamere posizionato su una testa antropomorfa in modo da analizzare le immagini rilevate per realizzare un fine talmente stupido come centrare la testa di una vite con la punta di un cacciavite (o della protesi avvitatrice)? Non sarebbe piu' semplice e piu' efficace un sistema in cui nella catena la vite si posizionasse sempre nell'esatto punto e quindi l'utensile per avvitarla ci si appoggiasse sopra alla cieca? Ci libereremmo di strumenti delicati come le telecamere e soprattutto di algoritmi complicatissimi di riconoscimento di immagini!

Le gambe e i piedi dell'uomo sono organi formidabili perche' possono eseguire compiti tra i piu' diversi, ma se il loro unico scopo fosse recarsi da casa al lavoro e viceversa, forse sarebbero piu' semplici ed efficienti quattro zampe, o addirittura sei come gli insetti (i primi prototipi di macchine camminanti sono stati realizzati appunto con sei gambe, caratteristica che offre maggiore stabilita' e minore complicatezza di realizzazione). Addirittura, posto che non ci fossero drammatiche barriere architettoniche, la macchina potrebbe avere ruote anziche' gambe: potrebbe funzionare decisamente meglio di una carrozzina per paraplegici. Curiosity (il veicolo inviato su Marte) si muove su sei ruote, ed e' stato progettato per affrontare un percorso accidentato per definizione.

Estendendo questo discorso ci si potrebbe chiedere perche' mai un robot che debba solo lavorare al posto mio dovrebbe ritornare a casa la sera per poi recarsi al posto di lavoro la mattina. Finirei per dover risolvere il problema di trovargli un posto dove riporlo perche' non intralci. Tanto vale lasciarlo al suo posto di lavoro, dove altrimenti rimarrebbe dello spazio vuoto inutilizzato. Oltretutto, in questo modo i nostri personal robot eviterebbero di intasare il traffico. Ed avremmo risolto il problema della mobilita': se non si deve muovere non ha bisogno ne' di gambe ne' di ruote.
Certo, se ci fosse l'esigenza di liberare il posto del mio robot in catena di montaggio per far spazio al robot del mio collega che ricopre il turno successivo, allora sarebbe un altro paio di maniche.
Ripensandoci, pero', ma perche' io e il mio collega dovremmo avere due robot uguali che fanno lo stesso lavoro in tempi diversi? A questo punto potremmo acquistare un solo robot in coproprieta'. Quel robot sara' mio schiavo nel turno affidato a me e schiavo del mio collega nel turno affidato a lui.

Certo verrebbe da chiedersi, visto che il lavoro lo fa sempre lo stesso robot, perche' dovremmo avere, io e il mio collega, un robot in coproprieta'. Il mio robot me lo compro io e copro sia il mio turno, sia quello del mio collega. Che magari verrebbe licenziato, ma io mi farei il doppio salario standomene a casa a grattarmi la pancia. Gia', potrei sopportare quel piccolo problema di coscienza. Del resto, il mio collega, se vuole, puo' anche cercarsi un altro lavoro e far lavorare un robot uguale al mio, facendosi gli stessi soldi a fine mese. Se lo trova.
Perche' poi, portando questo discorso al limite, invece che pagare il salario a un numero di dipendenti, sufficienti per far coprire tutti i posti di lavoro ai loro robot, l'azienda potrebbe acquistare da se' i robot e lasciare a casa tutti i dipendenti.
Uhm.... lasciare a casa... il lavoro in effetti lo fanno i robot, e i dipendenti sono gia' a casa!
Qual'e' la differenza? Che il malloppo se l'intasca chi possiede il robot.

Ad oggi funziona esattamente cosi', in effetti. I robot non sono affatto antropomorfi, e non se ne vanno a casa a fine turno. Non e' la gente che li possiede, ma l'azienda. E quindi chi e' stato sostituito con lavoro automatico e' stato licenziato, perche' non piu' produttivo.

Appare ragionevole e conveniente pensare di sostituire la fatica di lavorare dell'uomo con quella di una macchina. A patto che pero' la ricchezza rimanesse dove sarebbe nel caso di un lavoro non meccanizzato.
Perche', in fondo, per chi non lavora, che la produzione sia meccanizzata o no, non fa nessuna differenza.
La verita' e' che la tecnologia non modifica semplicemente il modo di lavorare, ma accentra il potere e la ricchezza nelle mani di chi la controlla. E l'unico soggetto in grado di controllarla e' l'azienda.
Una soluzione paradossale a questo problema e' obbligare chi automatizza i processi di produzione, tramite l'acquisto di tecnologia, a sborsare il denaro equivalente alla retribuzione della forza lavoro risparmiata in un fondo che serve ad assicurare un pari salario ad altrettanti disoccupati. In questo modo si continuerebbe a distribuire la ricchezza e al progresso della societa'.
Evidentemente questo e' un paradosso, perche' se non ci fosse l'incentivo del risparmio sul salario dei dipendenti, all'imprenditore la tecnologia non interesserebbe piu'. Altro che miglioramento delle condizioni di lavoro!

mercoledì 8 agosto 2012

Mi piace...

...iniziare la mia giornata lavandomi la faccia con l'acqua fredda, anche d'inverno
...terminare la mia giornata con una doccia bollente, anche d'estate.
...camminare a piedi nudi
...le ragazze a piedi nudi
...la pelle sudata
...rannicchiarmi sotto le coperte
...i massaggi alla schiena
...cucinare per qualcuno
...la frutta estiva matura
...la papaya alle Hawaii
...il silenzio
...il jazz
...camminare sui sentieri di montagna, specialmente nei boschi
...il vino rosso
...la birra belga
...il cioccolato fondente
...il formaggio francese
...Mozart
...l'odore dell'aglio
...il profumo della lavanda
...il colore giallo
...l'universo gay e lesbico
...guidare
...partire per un viaggio
...tornare a casa
...la mediocrita'
...i miei cani che mi fanno le feste quando torno a casa, mentalmente stanco, la sera
...i temporali estivi
...il fuoco acceso nella stufa
...poggiare la testa sul petto di Rowena, la notte
...Rowena che mi accarezza i capelli
...la sensazione dell'acqua tra i capelli, quando nuoto senza cuffia
...nuotare in apnea
...ascoltare i rumori della foresta, nelle sere d'estate
...i fiori d'acacia
...il Waimea Canyon, nell'isola di Kauai
...gli sguardi d'intesa tra innamorati
...gli sguardi d'intesa tra Rowena e me
...lavorare il legno
...gli abbracci stretti
...le t-shirt colorate
...i venerdi' pomeriggio
...andare in bici
...la sensazione ovattata della neve che cade a grossi fiocchi
...la primavera
...il foliage
...i romanzi gialli scandinavi
...i romanzi di Andrea Camilleri
...Daniel Pennac
...rileggere il Piccolo Principe, ogni tanto
...imparare cose nuove
...inventare
...osservare gli insetti impollinatori al lavoro
...la democrazia
...i mercati Provenzali
...il duomo di Milano nella nebbia
...le striature di neve e ghiaccio sulle rocce del Resegone
...la Francia rurale
...l'Alto Adige
...la pizza

le striature di neve e ghiaccio sulle rocce del Resegone (Wikipedia)
...mordere un pomodoro del mio giardino, ben maturo, appena colto
...sorprendere
...le vecchie foto in bianco e nero dei miei genitori
...lo styling delle automobili
...uscire con gli amici di sempre, e finire a discutere di politica davanti ad una birra
...le minoranze, di tutti i tipi
...l'alba dietro ai cieli nuvolosi, quando il sole dipinge raggi sfumati e fa scintillare i contorni dei cumuli
...la matematica
...la solidarieta'
...Emergency
...l'AIDO e l'ADMO
...il Signore degli Anelli (il libro)
...la bellezza dell'arte fine a se' stessa
...le piste ciclabili
...la raccolta differenziata
...coltivare la terra

martedì 7 agosto 2012

Meno male!

Meno male che ci sono i tedeschi a difendere l'autonomia del nostro Parlamento e, in definitiva, la nostra democrazia!

venerdì 13 luglio 2012

Uscire dalla crisi

Ogni tanto mi capita che mi fermo, mi perdo via, e mi metto a pensare. A qualunque cosa mi passi per la testa. Un mio amico dice che non dovrei. Che mi fa male, pensare. Scherza ovviamente, ma un fondo di verita' c'e'. Se uno evita di pensare ("Imbecille Felice" lo definirebbe quel mio amico) allora di sicuro non prende coscienza di quanto le cose siano negative, o meglio, di quanto sia difficile renderle positive. E allora puo' anche illudersi che vada tutto bene, o almeno che prima o poi ci andra'. I media, in effetti, favoriscono molto questo atteggiamento ottusamente ottimista. Personalmente, l'idiozia consapevole mi da' fastidio. In ogni caso io non e' che ne faccio una questione etica. Semplicemente, ragionare sulle cose mi viene spontaneo.

La crisi economica

Tanto per cominciare, mi pare che fosse ampiamente prevedibile e prevista, direi da oltre un paio di decenni.
Io non e' che sapevo esattamente quando, ma ero certo che, prima o poi, sarebbe arrivata. Speravo cio' succedesse in un tempo abbastanza lontano da scaricare il problema sulle generazioni future, ma lo sapevo.
E non e' che io sia un genio dell'economia: ho solo ascoltato le ragioni di chi lo sosteneva, e mi sembravano condivisibili.
Semplificando di molto, la situazione era questa: Le risorse stavano in Medio Oriente (le popolazioni di quelle aree erano tuttavia povere), e d'altra parte i grandi paesi asiatici (Cina e India) stavano cominciando ad alzare la testa. Il muro di Berlino era caduto e quindi si stavano delineando nuovi confini geopolitici, dove il Medio Oriente continuava ad essere a fuoco e fiamme, devastato e razziato dal resto del mondo, mentre i contendenti erano Europa e USA da una parte, paesi emergenti dall'altra. Era evidente che i primi non avrebbero avuto alcuna chance di vittoria contro i secondi.
Era prevedibile e previsto, eppure non siamo stati in grado di affrontarlo. Cioe' io, di fronte alla terza birra al pub con gli amici (allora avevo una vita un po' piu' sregolata), sostenevo che l'equita' tra gli uomini si puo' ottenere solo se i ricchi (noi) rinunciassero a parte della torta per dividerla con i poveri (loro). Ma tra il dirlo e il farlo c'e' di mezzo un mare (di birra). Non tanto perche' io sia un tipo egoista (e lo sono), ma perche' la distribuzione equa della ricchezza e' un fatto sociale e non individuale, e quindi va affrontato dalla politica, non dall'etica. A chi fa il sanfrancesco e rinuncia a tutto per vivere in poverta', tanto di cappello, ma non fa altro che spostare il problema, senza avvicinarsi di un millimetro alla soluzione (anzi!). La ricchezza a cui rinunciamo, se non cambiamo il sistema, finisce per contribuire a mantenere ricco chi e' ricco e povero chi e' povero. Perche' e' il funzionamento stesso del sistema, che e' basato sulla disuguaglianza. Anzi, sull'aumento della disuguaglianza.
E allora, perche' mai il povero accetta di vivere sotto questo sistema, invece che ribellarsi?
Ovviamente perche' anche lui ne trae vantaggio. Aprendo la forbice, il ricco diventava molto piu' ricco, ma anche il povero diventava meno povero (anche se di poco). L'alternativa (almeno ci hanno sempre fatto credere che fosse cosi') era l'impoverimento globale, dove la forbice si chiude ma il povero sta peggio di prima.
Il problema e' che, se consideriamo tutta l'umanita', la ricchezza totale non puo' crescere. E quindi, a livello globale, rimane vero che maggiore disuguaglianza significa impoverimento dei piu' deboli.
In altre parole eravamo consci del fatto che stare bene nel nostro paese (nonostante le disuguaglianze) significava che nei paesi poveri si stesse male. Ma ce ne fottevamo allegramente, perche' si e' sempre motivati a combattere l'ingiustizia quando la si subisce, molto meno quando la si impone. Ci accorgiamo subito che i ricchi sono sempre ingiustamente piu' ricchi di noi, ma non prestiamo attenzione al fatto che i piu' poveri siano sempre piu' poveri a causa del nostro aumentato benessere.
Ora pero' le cose sono cambiate, perche' ci vediamo costretti a dividere il dominio del mondo con miliardi di cinesi e indiani. E allora, la forbice, per continuare ad aprirsi, deve costringere i poveri ad impoverirsi, anche da noi.
Adesso si' che l'ingiustizia ci da' veramente fastidio, perche' ne subiamo le conseguenze.

Dice: bisogna uscire dalla crisi. Ma in che modo bisogna uscirne? Riportando gli equilibri com'erano una volta, in modo che noi torniamo a stare bene rimettendo miliardi di cinesi e indiani al loro posto? Non credo che la coscienza collettiva possa accettarlo. E in ogni caso non ci riusciremmo, perche' ora sono loro che dettano le regole.
Il punto e' che il sistema globale non e' tenuto in piedi da un'etica collettiva, ma dal naturale rapporto di forze tra chi detiene il potere, cioe' dall'egoismo di quelli che contano. Lo scontro tra gli interessi individuali non puo' che terminare a favore dei piu' potenti (anche i meno potenti perseguono i propri interessi individuali, ma, essendo meno potenti, hanno meno probabilita' di vincere). Se anche un individuo ricco, per perseguire il bene collettivo, decidesse di distribuire il proprio a chi ne ha bisogno, quell'individuo e' destinato a soccombere a coloro che invece si prendono tutto e ne vogliono sempre piu'.
Poiche' in natura prevale l'egoismo individuale, l'equilibrio si ha con la disuguaglianza.

Bisognerebbe anteporre il bene collettivo a quello individuale. La politica all'economia. E bisognerebbe farlo a livello globale. Bisognerebbe che i politici imponessero alle economie di redistribuire piu' equamente. E che questo accada a livello planetario, perche' se in un mondo solidale un solo paese decidesse per il liberismo, quel paese sarebbe economicamente avvantaggiato, vincerebbe la partita, accumulerebbe potere e si impadronirebbe del mondo. Insomma, bisognerebbe che una qualche forza mantenga il mondo in un equilibrio instabile in cui la solidarieta' prevalga sull'egoismo.

Stabilito che cio' e' impossibile, che possono fare i nostri politici locali? Non possono far altro che favorire i poteri forti mondiali in modo che l'economia nazionale guadagni punti rispetto alle economie nazionali degli altri paesi. E se per ottenere questo bisogna aumentare la forbice, va bene lo stesso, perche' tanto, se si vince la partita, il povero sara' contento di essere un po' meno povero di quanto lo sarebbe se l'economia del suo paese fosse piu' equa ma perdente. Se invece si perde la partita, comunque ci siamo parati il culo, riducendo il povero all'impotenza politica.

mercoledì 13 giugno 2012

Perche' vorrei essere francese

Di fronte al mio posto di lavoro c'e' un bellissimo parco, con prati e alberi, pista ciclabile e vialetti pedonali, qualche tavolo da picnic e qualche panchina, proprio in riva al lago. Con la bella stagione e' l'ideale per trascorrere li' i 45 minuti di pausa pranzo con un pasto al sacco anziche' alla triste mensa aziendale.
A quell'ora ci sono diverse persone al parco. Ci sono quelli come me in pausa, molti chiaramente immigranti, c'e' qualche teenager che si ferma li' dopo la scuola per passare il tempo aspettando il treno (la stazione e' abbastanza vicina), molti passeggiano, magari col cane, qualcuno e' intento a parlare al telefonino, qualcuno fa jogging, c'e' una comitiva di vecchietti che si ritrovano tutti i giorni a giocare a briscola...
Poco piu' avanti c'e' una azienda per il riciclo della carta, anche quella in riva al lago. Quando l'aria tira da quella parte l'odore e' insopportabile. Mi chiedo se una puzza del genere sia lecita nel pieno del centro abitato, e se l'azienda non produca anche dei liquami che finiscano direttamente nel lago. Se e' piu' importante la necessita' aziendale del diritto delle persone di respirare aria decente.
Qua e la', ci sono dei cartelli che indicano, come se ce ne fosse bisogno, che l'immondizia va riposta negli appositi cestini.
I cani sono ammessi, ma altri cartelli invitano a raccoglierne gli eventuali escrementi.
Eppure il suolo e' sempre disgustosamente sporco di cartacce, bottiglie di plastica, pacchetti di sigarette vuoti, pupu' di cane e altre amenita' simili. E' proprio intorno ai tavoli che si concentrano i rifiuti (li' ci si siede per mangiare e li' si lasciano i resti). Le cicche di sigaretta si concentrano invece vicino alle panchine. Su tavoli e panchine ci sono graffiti di varia natura, dalle dichiarazioni d'amore agli slogan tifo-calcistici ai simboli politici (svastiche e falcemartelli vintage vanno per la maggiore). C'e' anche qualcuno che ha avuto la bella pensata di ribadire, scrivendolo a caratteri cubitali sul legno, che e' vietato buttare immondizia per terra.
Geniale.
Mi aspetto, un giorno o l'altro, di trovare sparsi sui prati volantini che invitano a non scrivere sui tavoli.
Personalmente non lascio immondizia al parco. La pochissima che produco me la porto a casa e la differenzio. Ma per chi se ne vuole sbarazzare ci sono cestini in abbondanza. Io non ci arrivo!: perche' buttare un avanzo a mezzo metro dal cestino e lasciare il cestino vuoto?
Verrebbe da ipotizzare che il parco sia cosi' sporco perche' il Comune non provvede a pulirlo abbastanza spesso. Forse e' anche cosi' ma sicuramente non soltanto. Un giorno ho visto le squadre di giardinieri che provvedevano a tagliare l'erba. Il giorno dopo il parco era pulitissimo, ma quello successivo era tornato ad essere indecente.

Viaggiando in Francia sulle autostrade non si puo' fare a meno di notare che, oltre alle aree di servizio (con servizi simili a quelle italiane) ci sono numerosissime aree di sosta. Ce ne sono alcune enormi. Tutte sono attrezzate con tavoli da picnic, bagni pubblici e comodi parcheggi, per automobili e TIR. Nei weekend la circolazione di questi ultimi e' ristretta: le aree vengono utilizzate anche dai camionisti per sostare nelle ore di traffico per loro bloccato.
In alcune aree ci sono addirittura attrezzi per fare un po' di ginnastica, giochi per bambini e gadget simili.
Non hanno bar ne' pompe per il carburante, ma tutte sono molto ordinate e ben tenute, dotate di grandi bidoni per la raccolta differenziata e per l'immondizia generica, svuotati regolarmente prima che sia troppo tardi. Nessuno lascia rifiuti per terra, e i padroni dei cani portano i loro migliori amici a fare i loro bisognetti un po' appartati dalle aree per gli umani, il che e' possibile in virtu' del fatto che le areee sono abbastanza grandi e molto verdi. Le toalette sono ragionevolmente pulite... Oddio... Non e' che la situazione sia proprio perfetta, qualche mozzicone di sigaretta in giro c'e'! Ma in generale sedersi a mangiarsi un panino li' e' piacevole e rilassante. Proprio quello che ci vuole per una pausa durante un viaggio. Potrebbe essere che queste aree vengano pulite in continuazione. Probabilmente e' cosi', ma non e' tutto. Essendo cosi' frequentate, nessuna squadra di pulitori potrebbe essere sufficientemente efficiente da mantenerle abbastanza decenti se tutti si comportassero come i frequentatori del parco qui di fronte.

Non credo che sia una questione genetica, perche' se e' vero che gli automobilisti in Francia sono in maggioranza francesi, e' anche vero che molti, soprattutto nelle autostrade, e soprattutto se parliamo di grandi TIR, vengono da oltre frontiera. Nel parcheggio qui vicino i camionisti lasciano nel parcheggio sacchetti di immondizia e resti di cibo e orinano contro i muri. Perche' in Francia non osano nemmeno buttare un mozzicone per terra?

E' una questione di rispetto. Il ragionamento che si fa in Italia e' questo: un luogo pubblico, proprio perche' e' pubblico, non e' mio, quindi non e' mio interesse ne' mio compito fare in modo che sia pulito, anche se, evidentemente, va anche a mio svantaggio quando e' sporco. Il ragionamento che si fa in Francia invece e': un luogo pubblico proprio perche' e' pubblico, e' di tutti, e io, che mi sento parte di quei "tutti", devo collaborare a tenerlo pulito, a tutto vantaggio della collettivita', e quindi mio.
In un'area di parcheggio dell'autostrada francese non avrei problemi a stendere un asciugamano e a sdraiarmici sopra per fare un pisolino, cosa che non farei mai nel parco qui di fronte.
Rimango ancora allibito quando, facendo i tornanti per andare a casa, vedo automobilisti che buttano immondizia. Addirittura i ciclisti che si allenano su quelle impervie salite lo fanno. E non e' che si tratta di strade cittadine dove prima o poi qualcuno passera' a pulire. Qui siamo in aperta campagna: una bottiglia di plastica nascosta tra i rovi puo' rimanerci per decenni. E si' che quelli che ci passano sono per lo piu' residenti. In Francia anche le strade di periferia sono decenti.

Non faccio una questione solo sull'immondizia.

In Francia nei negozi sono sempre cordiali e gentili, ti salutano con un bonne soiree, bon Dimanche, bon fin du semaine e un sorriso. In Italia se uno sta lavorando, tipicamente ti guarda storto, se non ti manda addirittura a stendere. E tu stai li' a chiederti se non sia forse perche' sottopagato o sovrasfruttato. Non credo che in Francia un cassiere del supermercato sia pagato molto meglio, ne' che qualcuno lo costringa ad essere gentile contro la sua volonta'. Credo sia piuttosto una questione culturale. Non si arrogano il diritto di pretendere che gli altri assimilino il loro malumore.

Chi ti vede mangiare ti augura bon apetit, Se stai passeggiando coi cani non mancano di fare loro due coccole. Se chiedi una indicazione te la danno volentieri, o addirittura si soffermano a chiacchierare (il che mi costringe ad esibire le mie lacune con la lingua). Qui da noi, se uno si fa i fatti suoi lo guardano con sospetto, specie se la lingua o i tratti somatici tradiscono una provenienza straniera.

In Francia il clima e' molto piu' rilassato, nessuno cerca di fregarti e nessuno si aspetta di esserlo da te.
In questo periodo, dal poco che ho potuto constatare, sembra subiscano la crisi anche piu' di noi. Ma lo fanno, in generale, con molta piu' dignita'. Una bella metafora e' una casa piuttosto malconcia che ho visto durante il nostro viaggio: finestre rotte, tegole mancanti sul tetto, intonaco che si scrosta... ma bellissimi fiori alle finestre. Potrebbero non esserci soldi per affrontare la sistemazione della casa, ma coltivare fiorellini e' gratis, e ti fa sentire piu' in pace con il mondo.

Non credo che la "patria" c'entri nulla (la parola stessa mi mette i brividi). Credo che sia il senso di appartenenza alla collettivita', ad essere diverso. In Francia lo Stato non opprime il cittadino. Lo Stato e' il cittadino, e d'altra parte il cittadino si sente parte di un tutto.

Durante la campagna per le presidenziali francesi ho ascoltato la traduzione di un'intervista di Radio Popolare ad una elettrice convinta di Marine Le Pen. Il contesto dell'intervista era sull'aspetto politico delle aspettative dei francesi, ma a me ha colpito un'altra cosa. La signora votava per l'estrema destra perche' pensava che sarebbe stato un bene per la Francia e per i francesi, e che una svolta a destra avrebbe contribuito attivamente a risolvere la crisi. Chi mi conosce sa che la penso in modo diverso dalla signora. Ma che differenza con l'elettore medio italiano! Qui un leghista vota Lega perche' pensa (anche lui sbagliando, ma non e' questo il punto) che la Lega difenda meglio i suoi interessi individuali.