venerdì 13 luglio 2012

Uscire dalla crisi

Ogni tanto mi capita che mi fermo, mi perdo via, e mi metto a pensare. A qualunque cosa mi passi per la testa. Un mio amico dice che non dovrei. Che mi fa male, pensare. Scherza ovviamente, ma un fondo di verita' c'e'. Se uno evita di pensare ("Imbecille Felice" lo definirebbe quel mio amico) allora di sicuro non prende coscienza di quanto le cose siano negative, o meglio, di quanto sia difficile renderle positive. E allora puo' anche illudersi che vada tutto bene, o almeno che prima o poi ci andra'. I media, in effetti, favoriscono molto questo atteggiamento ottusamente ottimista. Personalmente, l'idiozia consapevole mi da' fastidio. In ogni caso io non e' che ne faccio una questione etica. Semplicemente, ragionare sulle cose mi viene spontaneo.

La crisi economica

Tanto per cominciare, mi pare che fosse ampiamente prevedibile e prevista, direi da oltre un paio di decenni.
Io non e' che sapevo esattamente quando, ma ero certo che, prima o poi, sarebbe arrivata. Speravo cio' succedesse in un tempo abbastanza lontano da scaricare il problema sulle generazioni future, ma lo sapevo.
E non e' che io sia un genio dell'economia: ho solo ascoltato le ragioni di chi lo sosteneva, e mi sembravano condivisibili.
Semplificando di molto, la situazione era questa: Le risorse stavano in Medio Oriente (le popolazioni di quelle aree erano tuttavia povere), e d'altra parte i grandi paesi asiatici (Cina e India) stavano cominciando ad alzare la testa. Il muro di Berlino era caduto e quindi si stavano delineando nuovi confini geopolitici, dove il Medio Oriente continuava ad essere a fuoco e fiamme, devastato e razziato dal resto del mondo, mentre i contendenti erano Europa e USA da una parte, paesi emergenti dall'altra. Era evidente che i primi non avrebbero avuto alcuna chance di vittoria contro i secondi.
Era prevedibile e previsto, eppure non siamo stati in grado di affrontarlo. Cioe' io, di fronte alla terza birra al pub con gli amici (allora avevo una vita un po' piu' sregolata), sostenevo che l'equita' tra gli uomini si puo' ottenere solo se i ricchi (noi) rinunciassero a parte della torta per dividerla con i poveri (loro). Ma tra il dirlo e il farlo c'e' di mezzo un mare (di birra). Non tanto perche' io sia un tipo egoista (e lo sono), ma perche' la distribuzione equa della ricchezza e' un fatto sociale e non individuale, e quindi va affrontato dalla politica, non dall'etica. A chi fa il sanfrancesco e rinuncia a tutto per vivere in poverta', tanto di cappello, ma non fa altro che spostare il problema, senza avvicinarsi di un millimetro alla soluzione (anzi!). La ricchezza a cui rinunciamo, se non cambiamo il sistema, finisce per contribuire a mantenere ricco chi e' ricco e povero chi e' povero. Perche' e' il funzionamento stesso del sistema, che e' basato sulla disuguaglianza. Anzi, sull'aumento della disuguaglianza.
E allora, perche' mai il povero accetta di vivere sotto questo sistema, invece che ribellarsi?
Ovviamente perche' anche lui ne trae vantaggio. Aprendo la forbice, il ricco diventava molto piu' ricco, ma anche il povero diventava meno povero (anche se di poco). L'alternativa (almeno ci hanno sempre fatto credere che fosse cosi') era l'impoverimento globale, dove la forbice si chiude ma il povero sta peggio di prima.
Il problema e' che, se consideriamo tutta l'umanita', la ricchezza totale non puo' crescere. E quindi, a livello globale, rimane vero che maggiore disuguaglianza significa impoverimento dei piu' deboli.
In altre parole eravamo consci del fatto che stare bene nel nostro paese (nonostante le disuguaglianze) significava che nei paesi poveri si stesse male. Ma ce ne fottevamo allegramente, perche' si e' sempre motivati a combattere l'ingiustizia quando la si subisce, molto meno quando la si impone. Ci accorgiamo subito che i ricchi sono sempre ingiustamente piu' ricchi di noi, ma non prestiamo attenzione al fatto che i piu' poveri siano sempre piu' poveri a causa del nostro aumentato benessere.
Ora pero' le cose sono cambiate, perche' ci vediamo costretti a dividere il dominio del mondo con miliardi di cinesi e indiani. E allora, la forbice, per continuare ad aprirsi, deve costringere i poveri ad impoverirsi, anche da noi.
Adesso si' che l'ingiustizia ci da' veramente fastidio, perche' ne subiamo le conseguenze.

Dice: bisogna uscire dalla crisi. Ma in che modo bisogna uscirne? Riportando gli equilibri com'erano una volta, in modo che noi torniamo a stare bene rimettendo miliardi di cinesi e indiani al loro posto? Non credo che la coscienza collettiva possa accettarlo. E in ogni caso non ci riusciremmo, perche' ora sono loro che dettano le regole.
Il punto e' che il sistema globale non e' tenuto in piedi da un'etica collettiva, ma dal naturale rapporto di forze tra chi detiene il potere, cioe' dall'egoismo di quelli che contano. Lo scontro tra gli interessi individuali non puo' che terminare a favore dei piu' potenti (anche i meno potenti perseguono i propri interessi individuali, ma, essendo meno potenti, hanno meno probabilita' di vincere). Se anche un individuo ricco, per perseguire il bene collettivo, decidesse di distribuire il proprio a chi ne ha bisogno, quell'individuo e' destinato a soccombere a coloro che invece si prendono tutto e ne vogliono sempre piu'.
Poiche' in natura prevale l'egoismo individuale, l'equilibrio si ha con la disuguaglianza.

Bisognerebbe anteporre il bene collettivo a quello individuale. La politica all'economia. E bisognerebbe farlo a livello globale. Bisognerebbe che i politici imponessero alle economie di redistribuire piu' equamente. E che questo accada a livello planetario, perche' se in un mondo solidale un solo paese decidesse per il liberismo, quel paese sarebbe economicamente avvantaggiato, vincerebbe la partita, accumulerebbe potere e si impadronirebbe del mondo. Insomma, bisognerebbe che una qualche forza mantenga il mondo in un equilibrio instabile in cui la solidarieta' prevalga sull'egoismo.

Stabilito che cio' e' impossibile, che possono fare i nostri politici locali? Non possono far altro che favorire i poteri forti mondiali in modo che l'economia nazionale guadagni punti rispetto alle economie nazionali degli altri paesi. E se per ottenere questo bisogna aumentare la forbice, va bene lo stesso, perche' tanto, se si vince la partita, il povero sara' contento di essere un po' meno povero di quanto lo sarebbe se l'economia del suo paese fosse piu' equa ma perdente. Se invece si perde la partita, comunque ci siamo parati il culo, riducendo il povero all'impotenza politica.