mercoledì 19 dicembre 2012

Ultimo rinnovo

Mercoledi' scorso sono andato con mia moglie, alla Questura, a rinnovare il suo permesso di soggiorno.
E' l'ultima volta, perche' dopo tre rinnovi annuali, uno biennale e uno quinquennale, stavolta ha validita' indeterminata, o almeno, come dice il poliziotto addetto al rilascio, finche' non cambieranno in modo significativo i lineamenti facciali, visto che sul documento c'e' una foto.

Come era avvenuto per i precedenti rinnovi, l'operazione ha messo a dura prova il nostro sistema nervoso.
Il rinnovo precedente scadeva il 3 ottobre scorso. Un paio di giorni prima siamo dunque scesi in quel girone infernale a chiedere informazioni sulle modalita' e su quali documenti bisognasse presentare. Un po' perche' non ci ricordavamo esattamente quel che avevamo fatto cinque anni fa', un po' perche' le regole le cambiano di volta in volta in modo bizzarro e imprevedibile. Naturalmente, a riguardo, non c'e' alcuna informazione online, e al telefono, come avevamo constatato in altre occasioni, non c'e' da fidarsi.
Per la verita', all'ingresso della questura ci sarebbe un piantone a cui chiedere ragguagli, ma anche qui regna l'incertezza: ci e' stato dato un foglio fotocopiato su cui c'era un elenco di documenti da presentare per richiedere il rilascio. Per fortuna ho controllato, perche' noi avevamo bisogno di un rinnovo, non di un rilascio. Il piantone, colto alla sprovvista, ci ha detto che non era informato sul rinnovo, e che quindi avremmo dovuto chiedere allo sportello dell'accettazione delle domande o a quello del rilascio dei documenti, laggiu', nella stanza dei permessi di soggiorno, in fondo a sinistra.

Detta cosi' sembra ragionevole, ma la stanza dei permessi di soggiorno (sempre quella, da dieci anni a questa parte) non e' un posto dove uno vorrebbe andare. Si tratta di un locale di circa sei metri per cinque. I muri sono per meta' grigi e per meta' bianchi. Visibilmente sporche entrambe le colorazioni. Su un lato c'e' una finestra, su uno la porta, su un terzo c'e' un'apertura di circa tre metri, oltre la quale c'e' un piccolo spazio e la vetrata con i tre sportelli. Uno per i ritiri, due per l'accettazione, anche se uno dei due e' sempre chiuso. La regola sarebbe che la gente aspetta il proprio turno, per questioni di privacy, prima di quello spazio.

Quando arrivi ti danno un biglietto con un numero, come dal salumiere. Perche', come dal salumiere, in genere chiamano i numeri progressivi per l'accesso agli sportelli. Come fare a distinguere se il numero si riferisce all'accettazione o al ritiro? Facile, uno dei due sportelli in genere e' chiuso. Solitamente ti capita un biglietto piu' o meno di cinquanta-cento numeri maggiore di quello che stanno chiamando. Sempre che riesci a capire quale numero stiano chiamando perche', a differenza del salumiere, alla questura non hanno mai pensato di mettere un display che indichi il numero attualmente servito, quindi tutti, per cercare di carpire la voce che arriva flebile dagli sportelli, si accalcano proprio in quel piccolo spazio che serve a garantire la privacy.

Quelli che sono li' ad aspettare non sono pochi: se il tuo numero e' cinquanta oltre il numero chiamato, significa che come minimo ci sono cinquanta persone prima di te. In realta' pero' e' molto piu' affollato perche', per il ritiro dei permessi di soggiorno, in genere ci si portano le mogli, i mariti, i figli, i genitori, visto che il permesso si estende per ricongiungimenti famigliari. Morale, si sta come in metropolitana nell'ora di punta alla stazione centrale.
Per fortuna ci sono delle sedie. Un po' malconce, per la verita', ma espletano adeguatamente la loro funzione di sostenere i sederi delle persone stanche.
Le ho contate.
Dodici.

Se c'e' una cosa bella, in questa esperienza, e' il contatto con la varieta' umana. La maggior parte delle persone, di colore, parlano in quel francese nasale che subito richiama l'Africa subsahariana, o in italiano ma con quell'accento. Molti sono cinesi, piu' riservati. Pochi, piu' spaesati, sudamericani, indiani, pakistani, mahgrebini. Qualcuno poi ha l'aria un po' freackettona e parla inglese. Sembrano britannici, ma non avrebbe senso, visto che per loro c'e' Schengen.
Molta varieta' di stati d'animo, anche. Ci sono le persone che si mettono li' in un angolino e tengono la testa bassa, alcuni signori anziani molto dignitosi, pur nella situazione umiliante in cui si ritrovano. Alcuni ragazzi sono visibilmente incazzati, altri per passare il tempo si raccontano storie, le mamme si scambiano consigli sulle varie malattie dei loro bimbi, i teenager con la testa abbassata sul loro smart phone... L'altro giorno c'era un anziano signore che cercava di "dirigere il traffico" dei numeri, portando un po' d'allegria "Tu che numero hai? E no, i dispari li fanno domani, puoi andare a casa". Qualcuno reagisce male ai suoi scherzi, ma appena si rende conto che e' solo un modo per alleggerire la tensione cambia atteggiamento.

Morale, quel giorno dovevamo solo chiedere informazioni, ma c'era talmente tanta gente prima di noi che, dopo cinque minuti, abbiamo desistito per tornare qualche giorno dopo.
Qest'altra volta fummo piu' fortunati. Dopo un paio d'ore d'attesa finalmente il poliziotto all'accettazione chiama il nostro numero. Ci dice che abbiamo fatto la fila nello sportello sbagliato, perche' le richieste di informazioni si fanno allo sportello dei ritiri, dove chiamano per nome coloro che hanno l'appuntamento (ma noi che ne sapevamo? ci hanno dato un numero e abbiamo atteso che chiamassero quel numero!). Noi, senza appuntamento, saremmo passati senza fare la coda.
Ci danno l'elenco dei documenti da portare, tra cui quattro fototessera, il certificato di residenza mio, la carta d'identita', o l'autocertificazione sostitutiva, il certificato di residenza di R, o autocertificazione sostitutiva, il certificato di matrimonio, o autocertificazione sostitutiva.
Per "fare prima" ci prendono il nome e ci danno un appuntamento.

Ci presentiamo il giorno dell'appuntamento e ci accalchiamo agli sportelli all'ora fissata, per non lasciarci scappare il nostro turno, quando ci chiameranno. Naturalmente, essendo tutti migranti, hanno nomi che difficilmente vengono pronunciati nel modo corretto, il che rende la situazione gia' di per se' surreale, ancora piu' caotica. Con qualche ora di ritardo rispetto all'appuntamento, finalmente tocca a noi.
Carta d'identita': ce l'ho. Per essere sicuri facciamo anche un'autocertificazione: compili questo foglio.
Passaporto della signora: ce l'ha. E no... sa'... noi non siamo autorizzati a fare fotocopie. Abbiamo anche la fotocopia del passaporto.
Certificato di residenza della signora: non ce l'ha - autocertificazione sostitutiva.
Certificato di matrimonio: eccolo. E no! questo non e' valido - scade dopo cinque anni dal rilascio e questo e' stato rilasciato 9 anni fa. Altra autocertificazione.
Marca da bollo: Eccola.
Il poliziotto (questo gentile, la stronza sta allo sportello dei ritiri) controlla e ricontrolla. Sembra ci sia tutto. Domanda accettata. Ci spiega che, siccome ci sono le autocertificazioni da controllare ci vorra' un po' di piu' del solito. Non meno di un mese.

Nel frattempo, charamente, R rimane scoperta del permesso di soggiorno. C'e' un ambiguo biglietto che attesta che la domanda e' stata presentata: dovrebbe sostituirlo, ma il condizionale e' d'obbligo.

Dopo un mese torniamo. il solito numero del salumiere. Il solito assembramento di varia umanita'. Ci vorra' ancora un paio d'ore. Chiedo al piantone, all'ingresso, se c'e' modo di verificare se il documento e' pronto senza dover fare la fila. Mi risponde che non e' mica Gesu' Cristo da sapere tutto a memoria (certo non mi aspettavo che sapesse a memoria lo stato di tutte le pratiche, ma non ho commentato). Un altro paio d'ore e tocca a noi.
Ai ritiri c'e' la stronza dell'altra volta, ma, a noi, ci tratta bene - tipo da essere umano a essere umano, visto che si accorge immediatamente che R e' cittadina USA, non certo un migrante qualsiasi di un "paese sottosviluppato" su cui poter sfogare liberamente tutta l'aggressivita' repressa (del resto, e' per questo che fa la poliziotta, no?). Noto, accanto alla sua postazione, il calendario di Criminal Minds. Il mese scorso c'era la pagina di NCIS Los Angeles.
Il permesso di soggiorno non e' ancora pronto, ci vorra' un'altra settimana, piu' o meno, potete chiamare a questo numero verde che vi segno sulla ricevuta.
Mi viene in mente di suggerire al piantone come assurgere al ruolo di Gesu' Cristo, tramite distribuzione di questo prezioso tesoro, ma penso che sia meglio andarsene da li' senza dire niente.

Naturalmente la settimana successiva il documento non e' ancora pronto - mi dicono al telefono.

Richiamo dopo un'altra settimana. Stavolta e' pronto, possiamo andare a ritirarlo.
Per ritirarlo c'e' ancora una volta da fare un paio d'ore di coda. Stavolta c'e' un altro poliziotto, piu' gentile.
Oggi ci sono solo i ritiri, ma le pratiche vengono distribuite, chissa' perche', dallo sportello delle accettazioni, cosa che confonde un po'.
Ecco. E' il nostro turno. Quando consegnamo la ricevuta, il poliziotto si alza e comincia a cercare negli innumerevoli schedari. Incrociamo le dita... Tratteniamo il fiato... Il rumore della folla, alle nostre spalle, sembra farsi lontanissimo... Estrae un foglio da uno schedario su cui c'e' scritto S (evito di chiedermi perche', ma rimango confuso, visto che il cognome di R comincia per R e il mio per C). Lo controlla e lo confronta con i dati sulla ricevuta. Confronta anche la foto con la faccia di R e alla fine, grazie al cielo, ce lo consegna. Tutto in regola. Arrivederci. Mai piu', spero.

In totale, siamo andati alla questura per cinque volte. Quattro di queste abbiamo atteso il nostro turno per ben piu' di due ore, per un totale di oltre otto ore spese in una stanzetta cinque per sei in compagnia di un centinaio di altre persone.
L'ufficio immigrazione della questura di Lecco e' aperto solo al lunedi' mattina (tra le 9 e le 13) e il mercoledi' pomeriggio (tra le 15 e le 17). Ho dovuto quindi prendere cinque mezze giornate di ferie per poterci andare.

Nel frattempo, mentre il permesso di soggiorno era in gestazione, abbiamo ricevuto per posta dal comune la richiesta di presentarci con il nuovo permesso, per rinnovare anche la dichiarazione di residenza, che viene a decadere in concomitanza con la scadenza del permesso vecchio. Al comune ci hanno detto che, dopo averci inviato la richiesta, hanno ricevuto la telefonata della questura per accertare l'autocertificazione della residenza di R. Avremmo quindi dovuto tornare in municipio con il nuovo permesso nonappena fosse pronto.
Mi sono chiesto come facesse l'impiegata comunale ad attestare che R fosse residente, visto che il suo stato di residenza era decaduto. Mi sono anche chiesto come la questura potesse pretendere che l'impiegata comunale lo facesse. A rigore, uno non puo' rinnovare il permesso di soggiorno se non ha la residenza ne' puo' rinnovare la residenza se non ha il permesso di soggiorno?!?

Questa vicenda mi fa concludere, ancora una volta, che la strada che il sistema Italia deve ancora percorrere e' molto lunga. E che non si sia accorciata nemmeno di un centimetro negli ultimi dieci anni.
Ci sono alcune considerazioni che mi paiono piuttosto ovvie:
- Se la questura puo' contattare il comune, perche' mai dovremmo portare alla questura un certificato di residenza mio, uno di mia moglie e un certificato di matrimonio, visto che questi documenti sono rilasciati proprio dal comune?
- Se il comune e' in contatto con la questura, perche' si deve portare il permesso di soggiorno al comune per poter rinnovare la residenza?
- Visto che, a parte le foto e la marca da bollo, tutti i documenti presentati sono autocertificazioni che hanno dovuto essere verificati, perche' non si poteva fare tutto per via telefonica o addirittura telematica? La marca da bollo e la foto sarebbero state l'unico motivo per recarsi in questura, e tutto si sarebbe potuto risolvere molto piu' sbrigativamente.
- La maggior parte del tempo passato in questura era dovuto all'incomprensione dell'elenco dei documenti che ognuno doveva presentare per l'accettazione. Molti erano mandata via perche' non avevano questo o quel documento. Per esempio, uno studente ha portato la richiesta di ammissione ai corsi e non il certificato d'iscrizione alla scuola. Pochi semplici controlli incrociati tra le varie autorita' ridurrebbero di gran lunga la possibilita' di errore da parte di chi deve presentare domanda.

Il sospetto che tutto questo sia dolosamente rivolto alla complicazione della burocrazia per rendere le cose difficili ai i migranti e' forte.

Per fortuna, per noi, tutto questo appartiene al passato. Mi manchera' un po' tutta questa umanita', che, da questa parte della vetrata, fino al momento del contatto ravvicinato col poliziotto allo sportello, realizza un modello di uguaglianza difficile da vedere altrove, tra i cittadini italiani. Bianco, nero, povero, ricco, maschio, femmina, giovane, vecchio: devi solo restare li' ad aspettare il tuo turno, e nel frattempo ti rimane solo da solidarizzare con gli altri. Perche' in fondo si e' tutti sulla stessa barca.

lunedì 10 dicembre 2012

Tasse

L'altro giorno sono andato al CAAF a farmi fare il calcolo della seconda rata dell'IMU.
Ammmetto che ero un po' preoccupato, ma alla fine si e' rivelata piu' leggera del previsto. 35 euro. Piu' 35 che avevo speso per la prima rata, viene un totale di molto inferiore a quanto pagavo, per la stessa casa, di ICI. Non voglio entrare in merito sulla bonta' di questa tassa: mi piaceva pagare l'ICI perche', sapendo che finiva nelle casse dei comuni, ero sicuro che sosteneva i servizi locali. L'IMU invece e' tutt'altra faccenda.
Magari sono stato fortunato. Gia', perche' alla fine e' questione di fortuna, visto che il calcolo e' dato da logiche imprevedibili.
L'IMU quindi e' una tassa che pesa sul portafoglio, visto che l'anno scorso non si pagava. Pero' non e' che sia 'sto gran dramma.
Naturalmente non e' l'unica tassa che pesa nel bilancio famigliare. Ma non e' che io riesca davvero a percepire la differenza. Sono lavoratore dipendente, quindi il mio stipendio e' tassato alla fonte. Il netto in busta e' sempre uguale (preoccupantemente uguale da quasi dieci anni che lavoro qui - nemmeno i miseri aumenti sindacali l'hanno scalfito). Magari l'aumento delle tasse riguarda altre forme contrattuali, e quindi un'altra volta sono fortunato. Magari e' il datore di lavoro che deve rosicchiare il proprio profitto, il che non sarebbe nemmeno sbagliato, visto che e' un privilegiato. Ma, se questo fosse vero, significherebbe che il governo Monti sta facendo una politica di redistribuzione alla classe lavoratrice. Sono pronto a ricredermi, ma non mi pare sia proprio cosi'.
Forse l'aumento delle tasse riguarda il capitale che viene reinvestito nelle aziende, o in qualche modo limitano gli investimenti per le nuove attivita'. Questo sarebbe gravissimo, perche' sarebbe una casua di aumento ulteriore della disoccupazione. Non mi pare sia cosi', ma boh, non lo so. Comunque anche questo millantato aumento di tassazione sul capitale da reinvestire non e' una voce che io percepisco direttamente nelle mie tasche.
Sara' che il fisco pesa di piu' sulle piccole aziende o sulle aziende individuali. Sbagliero', credo pero' che la crisi che si abbatte su quelle aziende sia dovuta in primis alla perdita di potere d'acquisto dei salari, che riduce il mercato dei beni da loro prodotti, infatti mi pare che chi produce beni di prima necessita' continui a sopravvivere.
E l'IVA? Dove la mettiamo l'IVA? Mi pare che tutte le parti sociali si scaglino contro l'aumento di questa tassa. E io non voglio fare un ragionamento di principio sulla furbizia di far pagare al consumatore una tassa sul consumo quando il problema e' che i consumi si stanno contraendo. Ma, facendo quattro conti, anche un punto percentuale di IVA non mi pare una cosa cosi' insostenibile. Dunque. Vediamo. Supponiamo che voglio comprare una piccola utilitaria che costa, chiavi in mano, 10mila euro. Se aumentassimo di un punto l'IVA dovrei pagare quell'auto 10100 euro. Cento euro in piu', quando ne sto sborsando diecimila. Il pane costa sui 3 euro al kilo. Con l'IVA aumentata costerebbe tre centesimi in piu'. Davvero la gente non se lo puo' permettere?
E poi ci sono le accise sul carburante. In effetti il carburante e' una delle voci principali del mio bilancio. Pero' non riesco a quantificare quanto di questo aumento sia dovuto all'aumento del costo del petrolio, quanto ai giochini sadici delle compagnie petrolifere e di quelle di distribuzione del carburante e quanto all'aumento delle tasse.

In buona sostanza posso concludere che non mi pare che l'aumento della pressione fiscale sia veramente cio' che caratterizza questa crisi.
Il problema piuttosto e' l'insicurezza nel futuro. La mia unica fonte di reddito e' lo stipendio. Se perdo il lavoro, mi ritrovo in mezzo a una strada. Anche prima era cosi', ma prima avevo la speranza di trovare un altro lavoro, adesso non si trova niente. E lo dico adesso dopo che sono in cerca da anni.
E quindi, siccome non si trova lavoro, capita che molti al mio livello siano a spasso. Il che viene a dire che il mio valore sul mercato si riduce, visto che sono rimpiazzabile facilmente. E quindi il mio stipendio rimane tale senza possibilita' di aumentare. E siccome il costo della vita aumenta, il potere d'acquisto del mio stipendio diminuisce. Ci sarebbe da chiedersi perche', se la legge della domanda e dell'offerta vale sul mercato del lavoro, non valga anche sulle merci. Cioe', se molti sono nelle mie condizioni vuol dire che mediamente la gente compra meno. E quindi il prezzo delle merci dovrebbe diminuire.
Credo quindi che non sia vero che il potere d'acquisto di tutti stia diminuendo, ma solo quello del ceto medio. I ricchi sono piu' ricchi e quindi spendono di piu'.

E poi ci sono i servizi. Li' si' che lo stato diventa avaro.
La realta' e' che, almeno nel mio caso, non c'e' un percepibile aumento delle tasse, ma una notevole diminuzione della qualita' a fronte di un'aumento del prezzo dei servizi. La sanita' funziona sempre meno, la scuola altrettanto. Le pensioni si tagliano. I comuni si impoveriscono.
Invece che lamentarci per le tasse troppo alte, dovremmo invece lamentarci per i servizi non all'altezza. E per una inesistente politica del lavoro, che favorisce l'azienda sfavorendo il lavoratore.